ROMA (MF-DJ)--Una sentenza che riscrive la storia recente - quella più travagliata - del Montepaschi: sono le monumentali motivazioni pubblicate ieri, 1.540 pagine in tutto, con le quali la seconda sezione della Corte d'appello di Milano ha assolto gli ex vertici senesi Giuseppe Mussari, Antonio Vigni, Gian Luca Baldassarri, Daniele Pirondini e Marco Di Santo, nonché le banche estere Deutsche Bank con gli ex manager Ivor Scott Dunbar, Michele Faissola, Michele Foresti, Dario Schiraldi, Matteo Angelo Vaghi e Marco Veroni, e Nomura con gli ex banker Sadeq Sayeed e Raffaele Ricci. Non ci sono stati falsi in bilancio, né aggiotaggio, né ostacolo alla vigilanza.

Insomma, scrive MF-Milano Finanza, lo scandalo Mps per come lo abbiamo conosciuto - per la parte che riguarda i cosiddetti "buchi nascosti" e il ritrovamento in cassaforte dei documenti segreti- non avrebbe dovuto avere ragion d'essere. Invece fu la miccia che ormai dieci anni fa accese i riflettori su una banca in difficoltà, e che ancora di più lo sarebbe diventata per la montagna di crediti deteriorati che sarebbero emersi con la crisi economica e del debito.

È una storia, quella dei cosiddetti "derivati Mps" - che tali non erano, affermano i giudici - i cui strascichi si vedono ancora adesso. La banca, salvata nel 2017 dal Tesoro che ne è ancora azionista al 64%, sta affrontando un complicato aumento di capitale da 2,5 miliardi, reso difficile anche dalle cause miliardarie per pretesi risarcimenti legati all'aggiotaggio e al falso in bilancio, che la corte ha escluso. A partire dal 2013 nel mirino degli inquirenti - prima la procura di Siena, poi quella di Milano guidata allora da Francesco Greco - sono finite le due operazioni in Btp con le banche estere realizzate tra il 2008 e il 2009, riscritte a bilancio nel 2013 dalla nuova gestione rappresentata da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola facendo emergere perdite per circa 730 milioni. Gli imputati in primo grado erano stati condannati a pene anche pesanti, fino a oltre sei anni per Mussari e Vigni.

La corte d'appello di Milano, il 6 maggio, ha ribaltato il verdetto assolvendo tutti. Ora le motivazioni riscrivono il corso degli eventi. Motivazioni che possono essere di aiuto a Profumo e Viola, a loro volta imputati a Milano per la ritardata contabilizzazione "a saldi chiusi" come derivati (che tali però non sono, per la corte): "Può, allora e in definitiva, affermarsi che la contabilizzazione a saldi aperti attuata da BMps con riguardo alle operazioni Alexandria e Santorini" - scrivono i giudici Angela Scalise (presidente), Libera Rinaldi e Raffaella Zappatini (a latere) criticando pesantemente i giudici di primo grado - "non ha violato alcun "criterio di valutazione normativamente fissato" ma, all'opposto, si è uniformata ai "criteri generalmente accettati"" sul mercato e dai principi contabili internazionali. Anche Bankitalia, nel valutarle, avrebbe commesso "grossolanità e approssimazione".

La sentenza di appello evidenzia fra le altre cose, che "Santorini era un prodotto in vetrina come tanti, in serie", e non un prodotto "sartoriale" preparato per occultare i bilanci. Questo e altro emerge in particolare dai documenti nuovi prodotti dalla difesa dell'ex banker Veroni, che sono stati ritenuti "in alcuni punti essenziali ai fini della decisione". Santorini era un prodotto "rischioso" per la stessa banca tedesca "e questo ne conferma l'autenticità". "L'operazione consentiva una contabilizzazione favorevole al fine di migliorare il bilancio, aspettativa più che lecita - scrivono i giudici - non già di falsificarlo" la cui ratio era non di occultare perdite ma di "sopravvivere nel breve periodo" alla crisi post-Lehman Brothers sostituendo un rischio con quello della Repubblica italiana, più gestibile da Mps.

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0408:32 ott 2022


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