MILANO (MF-DJ)--Monoclonali, questi sconosciuti. Nonostante le cronache delle ultime settimane abbiano incentrato il focus della lotta al Covid solo sul tema dei vaccini, un altro filone interessante della ricerca riguarda gli anticorpi in grado di riconoscere e neutralizzare in maniera specifica determinati antigeni, come quelli virali. Il loro uso contro il Covid-19 non è una novità: già lo scorso autunno due dei monoclonali attualmente autorizzati, quelli di Regeneron ed Eli Lilly, sono stati usati in cocktail per curare l'ex presidente Usa Donald Trump, che dichiarò entusiasta: «Voglio il Regeneron gratis per tutti». Quello che non tutti sanno è che in Italia c'è un'eccellenza che si occupa proprio dello sviluppo dei monoclonali: si tratta di AchilleS Vaccines, società senese che da pochi giorni ha iniziato la sperimentazione clinica dell'anticorpo sviluppato insieme alla Fondazione Toscana Life Sciences su ricerca del professor Pino Rappuoli. Un farmaco che, se approvato, potrebbe rivoluzionare il settore delle cure contro il coronavirus, garantendo dosaggi (e quindi costi) molto più contenuti di quelli applicati su Trump. MF-Milano Finanza ne ha parlato con Riccardo Baccheschi, ceo e presidente dell'azienda toscana.

Domanda. Monoclonali: qual è il loro ruolo?

Risposta. Si tratta di un presidio farmaceutico tra i più importanti degli ultimi anni: nati con l'oncologia, ora vengono considerati sempre più contro le malattie infettive, non solo in forma terapeutica ma anche preventiva.

D. In che senso?

R. Il concetto è quello dell'immunizzazione passiva: quando si cerca di proteggere un soggetto sano da una malattia infettiva si possono inoculare i vaccini, che stimolano il sistema immunitario a produrre anticorpi. Questa è l'immunizzazione attiva. Oppure si può indurre la protezione della persona attraverso la somministrazione diretta di anticorpi monoclonali disegnati per quella specifica malattia.

D. Possono essere usati contro le varianti?

R. Il nostro monoclonale, entrato in trial clinico il 1°marzo, sulla base degli studi fatti non risente dell'effetto delle varianti. Per adesso i test sulle mutazioni sono solo in vitro: la sperimentazioni ci darà indicazioni aggiuntive.

D. Com'è il rapporto coi vaccini?

R. Sinergico e complementare: due presidi medici vengono usati contro la stessa malattia infettiva per rafforzare il cordone protettivo. Quest'uso sinergico che vediamo nel Covid potrebbe ripetersi in futuro. Nel combattere la resistenza batterica agli antibiotici, ad esempio, potrebbe arrivare il monoclonale. Oppure, preventivamente, un vaccino che prevenga tout court l'insorgere della malattia.

D. Quali sono i vantaggi?

R. L'uso complementare permette di rispondere alle esigenze sanitarie in caso di pandemia, ma non solo. Primo, i monoclonali sono un rimedio curativo immediato, soprattutto nelle prime fasi della malattia. Secondo, diventano presidi curativi quando i vaccini non possono o non vogliono essere usati.

D. C'è anche un tema di tempistica?

R. Esattamente. Nelle fasi acute delle epidemie o durante le ondate pandemiche, quando i vaccini richiedono fino a 60 giorni per diventare efficaci, l'anticorpo ha effetto immediato.

D. Come vi ponete nel mercato dei monoclonali?

R. L'industria mondiale del settore è fatta da prodotti che si somministrano in poche dosi, molto costose a livello industriale, e quindi dal prezzo altissimo. I dosaggi sono elevati, tanto è vero che si fanno quasi tutti per endovena. Il nostro prodotto invece è iper-potente e intramuscolare: ci auguriamo che la maggior parte degli anticorpi per malattie infettive del futuro siano così.

D. Cosa cambia?

R. I dosaggi richiesti in tali anticorpi, detti di seconda generazione, sono più bassi: in questo modo conteniamo i prezzi ed evitiamo la somministrazione per endovena, che richiede l'ospedalizzazione dei pazienti.

D. L'Italia può raggiungere l'autarchia delle cure anti-Covid?

R. L'obiettivo non è questo, ma quello di sviluppare prodotti giusti. Il mondo delle malattie infettive ha barriere d'ingresso altissime, e quindi l'economia di scala è fondamentale. In questo contesto è pressoché impossibile pensare prodotti e costruire aziende che non siano globali: nessuno ci investirebbe, perché i costi sono troppo elevati per avere ambizioni locali.

D. Serve quindi un cambio di paradigma?

R. L'idea di avere adesso produzioni esclusivamente a tutela dell'interesse nazionale è fuorviante: non si deve infatti dimenticare che l'Italia è da sempre leader nel settore. Per questo vanno valorizzati i distretti, come quello di Siena, dove gli esperti già sono reperibili nel mercato del lavoro locale. Il vero obiettivo è la leadership, non l'autarchia.

D. Che rapporto avete con le istituzioni?

R. Per quanto riguarda l'Ue, siamo stati in contatto più volte con la European Investment Bank: la parte discovery del nostro monoclonale è stata fatta dal professor Rappuoli con i fondi dello European Reasearch Council. In Italia abbiamo rapporti con varie istituzioni, in primis la Fondazione Mps e il Mise.

D. Oltre al Covid, quali sono i vostri progetti di punta?

R. Noi nasciamo come azienda di vaccini a cui si sono affiancati i monoclonali in ragione dell'emergenza Covid. Vogliamo sviluppare antidoti per il mercato mondiale, soprattutto contro l'antibiotico-resistenza. Partiremo da malattie come gonorrea, salmonella, meningococco. Senza dimenticare l'obiettivo primario di sconfiggere, tramite un vaccino, quella che è a tutt'ora una delle prime cause di mortalità infantile al mondo: la malaria.

fch

(END) Dow Jones Newswires

March 08, 2021 02:37 ET (07:37 GMT)