MILANO (MF-DJ)--L'aumento dell'inflazione nell'Eurozona è temporaneo, così la Bce manterrà un ampio stimolo monetario e comprerà 700 miliardi di euro di titoli nel 2022, anche se una prima riduzione del piano pandemico Pepp potrebbe essere decisa a settembre. È questa l'opinione di Silvia Ardagna, capo economista per l'Europa di Barclays, dopo una carriera in Goldman Sachs e come docente ad Harvard. Per ora non ci sono le condizioni per avviare una fase di austerità, osserva in questa intervista. Per Ardagna l'Eurozona deve piuttosto occuparsi dei modi per ridurre le divergenze tra Paesi nell'uscita dalla pandemia.

Domanda. Alcuni temono un rialzo più duraturo dell'inflazione nell'Eurozona rispetto a quanto dice la Bce. Qual è il suo punto di vista?

Risposta. L'accelerazione dell'inflazione sarà temporanea perché ora è guidata da alcuni fattori transitori: il rialzo dei prezzi dell'energia, il confronto dei dati rispetto a quanto avvenuto un anno fa con la pandemia, la revisione dei pesi nella metodologia, le tempistiche diverse dei saldi in alcuni Paesi. C'è poi una componente più genuina: nella seconda metà dell'anno ci sarà un aumento della domanda e alcune aziende potrebbero scaricare l'aumento dei costi sui clienti. Ma si tratterà di variazioni una tantum. Mancano segnali da fattori chiave per il medio periodo, soprattutto dai salari. Per l'inflazione prevediamo un picco a novembre, con un dato annuo al 2,6-2,7%, ma una discesa all'1,4% nel 2022, vicina alle stime Bce.

D. Quali saranno i prossimi passi della banca centrale?

R. A settembre la Bce potrebbe annunciare una riduzione del ritmo degli acquisti di titoli nel piano Pepp nel quarto trimestre, rispetto al livello del terzo. Ora si sta andando a un passo di 80 miliardi al mese. Il calo delle operazioni sarà una sfida per la comunicazione ma riteniamo che parte della riduzione del Pepp sarà assorbita dopo marzo dall'App (il Qe varato nell'era Draghi, ndr). Il motivo è che l'obiettivo di inflazione resterà lontano, ancora di più con il nuovo target definito nella revisione strategica, che sarà più simmetrico attorno al 2%. Inoltre c'è da considerare l'accomodamento Bce rispetto a quello della Fed, che potrebbe annunciare il tapering a settembre, con partenza a novembre: tuttavia anche in caso di riduzione delle operazioni la banca centrale Usa, che oggi compra titoli per 120 miliardi, sarebbe molto più espansiva rispetto ai 20 miliardi dell'App. Per questi motivi gli acquisti dell'App dovranno aumentare, dato l'obiettivo Bce di mantenere condizioni di finanziamento favorevoli. Stimiamo che la Bce comprerà circa 700 miliardi di titoli nel 2022, includendo i primi tre mesi del Pepp.

D. La Bce seguirà la Fed riguardo a un obiettivo di inflazione medio che consenta di restare oltre il 2% per un certo periodo di tempo?

R. Difficile che accada. Non c'è unanimità sul punto tra i membri del consiglio direttivo. Inoltre per la Bce il target medio potrebbe innescare un problema di credibilità, data la lontananza negli ultimi dieci anni anche dall'obiettivo attuale.

D. C'è il rischio di importare un aumento dei tassi dagli Usa, come avvenuto a inizio anno?

R. Sì, perciò la Bce sarà comunque molto attenta prima di decidere una riduzione del Pepp a settembre se vedrà segnali di contagio sui tassi.

D. Si è discusso molto in passato sui suoi studi con Alberto Alesina sull'austerità espansiva, anche per il dibattito che ne è seguito con Paul Krugman. Lo scenario attuale sembra non lasciare spazio a politiche di austerità. Cosa ne pensa?

R. Le condizioni economiche non sono tali da giustificare una stretta delle politiche fiscali ora, anche se prima o poi si riaprirà il dibattito in Europa su come e quando ridurre i deficit e portare i debiti sotto controllo, per recuperare spazio di manovra per eventuali nuovi momenti di difficoltà. Le regole del Patto Ue sono sospese nel 2022 ma ritorneranno nel 2023, anche se ci aspettiamo gradualità da parte dei policymakers. Quanto alla ricerca accademica, non c'è mai stato studio secondo cui l'austerità porta espansione sempre. Il nostro obiettivo è stato quello di evidenziare i vari tipi di consolidamento: i casi di successo hanno riguardato prevalentemente i Paesi che hanno tagliato la spesa corrente e non quella per investimenti, oppure nei casi di espansione fiscale quelli che hanno ridotto le tasse sul lavoro rispetto a quelle per le aziende. L'efficacia delle misure fiscali per la crescita economica e la riduzione del debito è legata alla loro composizione, prima che alle dimensioni. In tal senso quella lezione è ancora rilevante. Il Recovery Fund, concentrando la spesa sugli investimenti, può essere un caso di espansione in grado di ridurre il debito, se i fondi saranno impiegati correttamente.

D. In una recente ricerca ha evidenziato il rischio di divergenze tra Paesi nell'Eurozona e possibili nuovi pericoli per l'integrità dell'area euro in assenza di giuste politiche. A cosa si riferisce?

R. Le divergenze sono state acuite dalla pandemia, ma erano presenti già prima e sono legate alle diverse strutture delle economie. Il Covid ha colpito soprattutto i Paesi legati a servizi e turismo e quelli che hanno pagato di più le misure di contenimento, come Italia e Spagna. Nella seconda metà dell'anno i divari si dovrebbero ridurre proprio per la più forte ripartenza dei Paesi in precedenza più danneggiati. Tuttavia guardando al medio termine, cioè al 2022 e 2023, alcune ferite potrebbero riemergere, per esempio con l'aumento dei default aziendali.

D. Non basta il Recovery Fund per ridurre le divergenze?

R. Sarà utile e pensiamo che sarà utilizzato in modo efficace. Ma le spese per investimenti e le riforme comunque richiedono tempo per produrre benefici. Le spese in educazione per esempio possono richiedere una generazione.

D. Cosa fare nella fase di transizione?

R. È importante che le politiche economiche evitino un allargamento delle divergenze. Perciò occorre che lo stimolo monetario resti ampio e quello fiscale sia ridotto gradualmente. Inoltre servono passi ulteriori per l'integrazione finanziaria nell'Eurozona, in modo che l'area sia più in grado di proteggere i Paesi in difficoltà in caso di nuove crisi. Servono progressi nell'Unione bancaria, nell'Unione dei mercati di capitale, un Recovery Fund permanente e una capacità di bilancio comune. Servirà tempo e non ci sarà un sentiero lineare, ma sembra che le stelle si stiano allineando in questa fase, grazie alla guida politica di Mario Draghi in Italia e di Emmanuel Macron in Francia. Dalla Germania potrebbe esserci una spinta europeista se i Verdi avranno maggior peso nel prossimo governo. Il punto fondamentale è che le risorse del Next Generation Eu siano spese bene soprattutto in Italia e Spagna, in modo che si costruisca maggiore fiducia tra Paesi del Nord e del Sud Europa.

D. L'Italia è vulnerabile per l'alto debito. Come farà il Paese a coniugare stimoli e attenzione ai conti?

R. È stato interessante notare la reazione dei mercati alle ultime previsioni economiche del governo, secondo cui il deficit tornerà sotto il 3% soltanto nel 2025. Nonostante questo non ci sono stati scossoni sullo spread. Ciò si spiega innanzitutto con la credibilità internazionale dell'esecutivo guidato da Draghi. Il suo discorso sul debito buono e cattivo ha avuto molta risonanza sugli operatori di mercato. Una politica espansiva che aumenta la crescita riduce il rapporto debito/pil attraverso il denominatore, quindi non viene prezzata con premi al rischio. Al contrario i timori si riaccenderebbero se il nuovo debito venisse interpretato dagli investitori come cattivo, come avvenuto per l'Italia per esempio nel 2018.

fch

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June 21, 2021 02:24 ET (06:24 GMT)