ROMA (MF-DJ)--La netta maggioranza dei 58 investitori istituzionali focalizzati sui bond market che BofA ha consultato a fine giugno nell'ambito di un sondaggio non ritiene che sia ancora il momento di incrementare le posizioni sulle obbligazioni societarie, siano esse di tipo investment grade o speculative. Lo spettro della recessione economica, scrive Milano Finanza, è in testa a tutte le preoccupazioni, data ora con una probabilità del 50% anche alla luce del focus sul carovita dichiarato da Jerome Powell mercoledì 29, seguito dalle preoccupazioni insite nell'azione restrittiva delle banche centrali e quindi dall'incertezza legata all'inflazione. Inoltre, negli ultimi due mesi sono aumentati molto i timori sulla sostenibilità dei debiti del settore pubblico e privato nei Paesi o nei settori più esposti, soprattutto dopo i forti scossoni impressi dalla Bce che ha spedito in soffitta il quantitative easing salvo poi correre ai ripari, a buoi ormai fuggiti, annunciando l'imminente messa a punto di un piano anti frammentazione del credito per l'Eurozona.

Corporate bond. La maggioranza degli operatori del sondaggio BofA (43%) è convinta che gli spread, derivanti dal maggior rischio dei corporate bond rispetto ai titoli governativi, cresceranno ancora fino ad arrivare nella fascia 225-250 punti base per gli investment grade (oggi a quota 150) e fino a 600-650 punti base per le emissioni high yield (oggi a quota 510), come dire che i minimi di prezzo non sono ancora alle spalle. Una buona parte ritiene che la svolta dei prezzi potrà avvenire solo quando i mercati inizieranno a scontare il primo taglio ai tassi, oppure quando la Fed raggiungerà l'obiettivo attorno al 3,5-4% di tasso d'interesse atteso verso la metà del 2023. Ma per una quota non indifferente di money manager la svolta potrebbe arrivare anche prima, non appena i dati macro confermeranno un'eventuale recessione, che rappresenta il segnale d'allerta in grado di fermare i giri di vite al costo del denaro da parte della Fed e conseguentemente di Bce.

Fase delicata. Quest' ultima ha almeno tre problemi in più rispetto alla banca centrale statunitense: un'inflazione che proviene unicamente da shock sull'offerta, senza alcun surriscaldamento della domanda che anzi comincia a vacillare in termini di sentiment sotto i colpi di una guerra che perdura; la debolezza della moneta unica, che alimenta l'inflazione; l'alto indebitamento dei Paesi periferici come l'Italia, dove il rialzo dei tassi è una spada di Damocle che rischia di innescare una recessione che ne metterebbe a rischio la sostenibilità.

Per tutte le banche centrali, invece, il rischio più grande è che a lungo andare le aspettative degli investitori sull'inflazione si disancorino rispetto al target del 2%: se ciò accadesse, la storia insegna che i rendimenti dei titoli di stato salirebbero molto di più fino ad allinearsi all'inflazione. Equivarrebbe a un terremoto per i mercati finanziari, implicando una caduta senza precedenti nei prezzi dei bond che trascinerebbe verso il basso anche le quotazioni azionarie. Motivo per cui gli istituti centrali hanno intenzione di dispiegare subito tutte le armi di cui dispongono per piegare quanto prima il carovita, mostrando agli investitori di poterlo riportare sulla strada discendente che conduce al target del 2%. Anche perché è in gioco il loro asset più importante: la credibilità, senza la quale tutte le armi diventano spuntate. Il compito più difficile è in capo alla Bce: dovrà alzare i tassi in modo più cauto rispetto alla Fed (il target dei tassi è l'1,5% contro il 3,5-4% della Fed) visto il maggior rischio d'innescare una recessione nell'Eurozona e visti gli elevati debiti pubblici in rapporto al pil dei Paesi periferici, tant' è che è sensibilmente aumentata la preoccupazione degli investitori sulla relativa sostenibilità.

A oggi le previsioni di S&P Global Ratings sull'Eurozona, espresse nell'Economic Research del 27 giugno, sono abbastanza confortanti in termini d'inflazione, a dimostrazione che le attese degli investitori istituzionali per il momento rimangono ancorate ai target delle banche centrali: dal 7% stimato per il 2022, si scende al 3,4% relativo al 2023, al 2,2% per il 2024 fino all'1,9% del 2025. Questo a fronte di una crescita del pil in discesa dal 2,6% di quest' anno all'1,9% per il prossimo e quindi all'1,8% per il 2024 e all'1,6% per il 2025, mentre la crescita italiana è previsto più sottotono negli ultimi due anni, ovvero all'1,5% nel 2024 e allo 0,8% nel 2025. Sempre secondo S&P, i rendimenti dei decennali governativi europei aumenteranno ancora nel prossimo triennio, comportando una nuova discesa dei prezzi di mercato: qui l'Italia spicca con un rendimento medio atteso del 3,6% nel 2023, del 3,8% nel 2024 e del 4,2% nel 2025, che si confrontano con il 3,3% di oggi.

Impieghi obbligazionari. Nonostante il forte deprezzamento accusato nel 2022, non sia ancora giunto il momento per ritornare con convinzione all'investimento obbligazionario, né sui titoli governativi né sui corporate: il rischio di assistere a ulteriori deprezzamenti resta elevato, a maggior ragione sui bond italiani che si apprestano ad affrontare la manovra finanziaria di settembre e le turbolenze della campagna elettorale. Unico pivot che intravedono gli operatori, in grado di innescare un vigoroso rimbalzo delle quotazioni prima di ridare la parola alle aspettative macro, è un eventuale cessate il fuoco in Ucraina, che rimane però impossibile da prevedere e, a oggi, nemmeno intravedere. Nel frattempo le strade percorribili per l'investimento obbligazionario rimangono quelle dei bond che quotano sotto la pari (100) con scadenza il più ravvicinata possibile, attendendo gli immancabili scivoloni autunnali-invernali per i bond italiani in modo da ampliare il ventaglio d'opportunità in termini di quotazione a sconto rispetto alla parità (100 meno quotazione) rapportata al numero di anni di vita residua. L'alternativa di diversificazione del portafoglio proviene dai titoli di stato cinesi, che offrono rendimenti comparabili con quelli italiani ma soggetti a un rischio di prezzo più basso (comprensivo del tasso di cambio), come dimostrano le performance positive del 2022, acquistabili in modo diversificato attraverso specifici etf quotati a piazza Affari (di Goldman Sachs, iShares, Spdr o Legal & General) oppure tramite fondi d'investimento orientati a questa asset class.

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0408:43 lug 2022


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July 04, 2022 02:45 ET (06:45 GMT)