MILANO (MF-DJ)--Putin ha vinto o ha perso la guerra economica? Ormai a un anno dall'invasione dell'Ucraina che ha dato il via al conflitto, con il coinvolgimento indiretto dell'Europa come vittima del taglio delle forniture di gas e come protagonista degli aiuti militari a Kiev, il bilancio è in chiaroscuro.

Se Mosca ha potuto lucrare sui prezzi del gas schizzato fino a 330 euro finanziando così la sua «missione militare speciale», quell'enorme flusso di denaro pregiato - dollari e euro che hanno sostenuto il rublo - è adesso tornato alle dimensioni che aveva non solo prima della guerra ma addirittura prima della pandemia. Con l'effetto ulteriore di non avere più un mercato di riferimento, quello europeo, per le esportazioni di idrocarburi.

Insomma se nel 2022 (e in parte nel 2021) Vladimir Putin ha trovato negli acquirenti europei una macchina stampa-rubli, adesso il quadro diventa più problematico. Anche perché da domenica 5 febbraio entra in vigore l'embargo sui prodotti petroliferi russi - come il diesel - che si aggiunge a quello della Ue sul petrolio e al price cap a 60 dollari imposto sul petrolio trasportato via mare verso Paesi terzi su petroliere della Ue e del G7: un modo per danneggiare l'economia di Mosca senza però provocare un infarto all'economia mondiale. La Russia sta continuando a esportare il suo greggio Urals al ritmo costante di 3 milioni di barili al giorno, e a un prezzo basso, 56 dollari a barile, a forte sconto rispetto a quello del petrolio Brent (80 dollari).

com/fus


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February 04, 2023 04:01 ET (09:01 GMT)