FRANCOFORTE (Reuters) - L'inflazione nella zona euro è diminuita per il terzo mese consecutivo a gennaio, ma la crescita della componente di fondo è rimasta stabile e sono già state sollevate preoccupazioni sull'affidabilità dei dati.

L'inflazione nel blocco valutario dei 20 Paesi è stata pari all'8,5% il mese scorso, in calo dal 9,2% di dicembre, secondo i dati pubblicati oggi da Eurostat. Il dato è stato ben al di sotto delle aspettative del sondaggio Reuters che prevedeva una crescita dei prezzi al 9%.

L'inflazione dei prezzi al consumo sta diminuendo velocemente, dopo aver raggiunto un massimo record del 10,6% ad ottobre, ma la Banca centrale europea ha già confermato di voler alzare ancora i tassi, temendo che senza una stretta l'inflazione possa rimanere bloccata al di sopra del target del 2%.

Nel meeting di domani, la Bce quasi certamente alzerà i tassi di mezzo punto percentuale, portandoli al 2,5%, ma la vera domanda è la portata delle ulteriori politiche restrittive che verranno annunciate da Francoforte.

È improbabile che il calo dell'inflazione complessiva elimini i timori dei banchieri centrali più conservatori, che sono anzi stati corroborati da dei dati pcoo incoraggianti sull'inflazione core.

Al netto dei prezzi di generi alimentari e carburante, l'inflazione è infatti salita al 7% dal 6,9%, mentre una misura ancora più ristretta, cui la Bce riserva particolare attenzione, è rimasta stabile al 5,2%, al di sopra delle previsioni del 5,1%. 

L'inflazione core è stata trainata da un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari trasformati e dei beni industriali, mentre è leggermente diminuita l'inflazione dei servizi.

Un altro problema è l'affidabilità dei dati. A differenza degli altri mesi, mancano i dati della Germania, la più grande economia del blocco, ed Eurostat ha dovuto utilizzare una stima basata su modelli.

Secondo gli economisti, inoltre, i dati di gennaio sono soggetti a un'insolita volatilità a causa delle variazioni dei prezzi di inizio anno.

I politici conservatori probabilmente sosterranno che una flessione economica più lieve del previsto comporterà un aumento minore della disoccupazione, per cui i salari rimarranno sotto pressione rialzista, portando la Bce ad alzare ulteriormente i tassi.

In effetti, a dicembre il tasso di disoccupazione è rimasto fermo al 6,6%, il tasso più basso mai registrato, come emerge da un'altra serie di dati pubblicati oggi.

È inoltre probabile che l'inflazione core rischi di rimanere ben al di sopra dell'obiettivo del 2% fissato dalla Bce, con gli effetti di secondo impatto degli alti prezzi dell'energia che stanno diffondendosi nell'economia, portando potenzialmente a un'inflazione che si autoalimenta.

I mercati si aspettano che i tassi della Bce raggiungano un picco del 3,5%, il tasso più alto degli ultimi 20 anni, indicando altri 100 punti base di rialzo dopo il rialzo atteso domani.

I banchieri più "dovish" dal canto loro sostengono che l'economia ha già iniziato a fornire risposte incoraggianti, e che serva del tempo per vedere gli effetti delle misure restrittive approvate negli ultimi mesi.

In effetti, i prestiti bancari sono destinati a subire il maggior calo dalla crisi del debito del 2011, la Germania e l'Italia hanno registrato una crescita negativa lo scorso trimestre, mentre il miglioramento dei dati sulla crescita economica nell'ultimo trimestre potrebbe essere attribuito a un inverno inaspettatamente mite, piuttosto che a un'inattesa solidità dell'economia.