ROMA (MF-DJ)--Giovedì 27 ottobre il Credit Suisse presenterà al mercato l'atteso piano di ristrutturazione da cui dipenderà il futuro del gruppo. Colpito duramente dagli effetti degli scandali Archegos e Greensill, l'istituto svizzero affiderà il proprio rilancio a una serie di azioni, dalla cessione di asset ritenuti non più strategici (finora sono stati annunciati la dismissione della quota in Allfunds e dell'Hotel Savoy, sulla Paradeplatz di Zurigo) fino a un rafforzamento patrimoniale da almeno due miliardi che potrebbe passare attraverso un aumento di capitale oppure un bond convertibile. Nel pacchetto di misure è attesa anche una significativa riduzione del personale. Il ceo Ulrich Koerner potrebbe tagliare circa 5 mila posti di lavoro, ossia il 10% della propria forza complessiva, andando a colpire soprattutto l'investment banking che costituisce una delle principali aree di attività del gruppo.

Oggi Credit Suisse non è l'unica realtà in cui l'investment banking sta soffrendo. Se però il gruppo svizzero paga soprattutto l'effetto degli scandali finanziari, sul settore a livello globale pesa soprattutto la contrazione economica. Lo dimostrano i risultati del terzo trimestre che vedono in calo le principali voci di bilancio. L'incertezza macro ha affossato per esempio i ricavi da investment banking di Morgan Stanley, scesi del 55% a 1,3 miliardi, mentre la rivale Jp Morgan è franata del 47% rispetto all'anno precedente. La scorsa settimana brutte notizie sono arrivate anche per Goldman Sachs dove la caduta è stata del 57%, al punto da innescare una ristrutturazione interna.

Secondo i dati di Refinitiv, nei primi nove mesi del 2022 le fee del settore sono precipitate del 32% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno a 83,1 miliardi di dollari. Solo tra il secondo e il terzo trimestre lo scivolone è stato del 16%, la peggiore performance dal periodo ottobre/dicembre del 2016. "A soffrire oggi sono soprattutto due componenti: da un lato capital market e corporate finance e dall'altro lato l'attività sul mercato azionario", spiega a MF-Milano Finanza Filippo Alloatti, Head of Financials di Federated Hermes. "Per la prima, che di fatto rappresenta il business tradizionale delle investment bank, c'è stata una caduta media del 50% anno su anno. Per la seconda invece il calo è risultato del 15-20%".

Anche secondo Refinitiv nei nove mesi le commissioni da equity underwriting sono scese del 67%, mentre le attività di m&a sono calate del 19%. "Dove invece i ricavi sono saliti è nell'area del reddito fisso, dove la svolta delle banche centrali ha sinora consentito alle investment bank di portare a casa numeri in crescita", spiega Alloatti. Che effetti avrà questa contrazione dei ricavi sulla strategia delle banche? "Per il momento solo pochi istituti hanno aggiustato la rotta. Si ritiene infatti che la crisi possa attenuarsi nei prossimi trimestri. Certo, se la congiuntura negativa si protraesse anche nel 2023, le ristrutturazioni sarebbero inevitabili. Per ora comunque prevale la prudenza, anche perché ridurre gli organici può penalizzare un'investment bank al momento della ripresa", continua Alloatti.

Eppure qualche grande gruppo ha già iniziato a rivisitare la strategia. Questo è il caso di Goldman Sachs che nei giorni scorsi ha annunciato un'ampia riorganizzazione dell'attività. Il colosso di Wall Street fonderà le attività di investment banking e trading in un'unica sezione, unendo al contempo l'asset e il wealth management in un'altra. Marcus invece, la consumer bank del gruppo, verrà inserita nella gestione patrimoniale. Una terza divisione ospiterà le operazioni bancarie, il portafoglio della banca relativo alle piattaforme di tecnologia finanziaria, oltre a GreenSky (società specializzata in lending) e le iniziative con Apple e General Motors.

"Altre riorganizzazioni potrebbero arrivare nei prossimi mesi, non solo per ridurre i costi, ma anche per diversificare l'attività e bilanciare la caduta dei settori in difficoltà", spiega Alloatti. Proprio la storia recente di Goldman però dimostra che la diversificazione è una scelta insidiosa per una banca d'affari. Per il colosso di Wall Street guidato da David M. Solomon per esempio l'ingresso nel retail banking si è rivelato un flop e il progetto è stato rottamato con quest' ultima riorganizzazione. Altre diversificazioni, come quella di Morgan Stanley nel wealth management, si sono rivelate più efficaci anche se oggi l'incertezza sulla linea da seguire rimane elevata: "Le acque sono tumultuose e i ceo sono prigionieri delle correnti", conclude Alloatti.

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2408:48 ott 2022


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