Infatti, quando il tasso privo di rischio — quello dei titoli del Tesoro statunitense a dieci anni — si aggira intorno al 5%, gli investitori chiedono naturalmente un premio di rischio per i titoli che pagano dividendi, il quale varia a seconda del potenziale di crescita delle aziende sottostanti.
Per gruppi come AT&T o Verizon, privi di una crescita non inflazionistica, è quindi naturale che le valutazioni si adeguino automaticamente al ribasso per garantire rendimenti nell'ordine del 7-8%, ossia il tasso privo di rischio del 5% più un premio di rischio compreso tra il 2% e il 3%.
A ciò si aggiunge lo scandalo molto discusso dei cavi di piombo installati da questi operatori nel secolo scorso e il rischio di azioni legali per violazione delle norme ambientali: il caso potrebbe costare caro a entrambe le telco.
Tali sviluppi hanno riportato il prezzo delle azioni di AT&T ai minimi storici, livelli che non raggiungeva da vent'anni.
A nostro avviso si tratta di uno sviluppo molto salutare e, più che di una correzione, di un ritorno a livelli di valutazione razionali visto il contesto di tassi d'interesse. Come già detto, le telco non crescono, mentre le loro attività iper-capitalistiche consumano quote sempre maggiori del loro cash-flow operativo.
In questo contesto, il meglio che possiamo aspettarci da queste aziende è una distribuzione di dividendi stabile nel tempo, la quale non sembra essere in pericolo per AT&T. D'altro canto, l'aumento dei tassi d'interesse rischia di provocare un forte aumento del costo del debito.
In questo contesto, e nonostante i risultati trimestrali incoraggianti, è difficile che AT&T sia in grado di aumentare la distribuzione dei dividendi se vuole mantenere i rapporti di copertura richiesti dai suoi creditori.