ROMA (MF-DJ)--Non solo Unicredit cui sarebbero state fatte ulteriori concessioni negli ultimi giorni, ma il Tesoro ha sondato anche Banco Bpm per la privatizzazione di Mps, di cui possiede il 64% e, per gli accordi con la Dg Comp Ue, deve perfezionare la vendita del pacchetto entro l'assemblea di bilancio 2021.

Lo scrive il Messaggero spiegando che è bene sottolineare che Piazza Meda, con garbo istituzionale, avrebbe rifiutato qualunque interesse in linea con quanto da diversi mesi va ripetendo l'a.d. Giuseppe Castagna. Nonostante la posizione del terzo gruppo bancario italiano sia chiara da tempo, però, se il Mef ha ritenuto di compiere una verifica diretta dimostra che il tempo stringe, non maturano soluzioni industriali e, prima di ricorrere ad alternative da negoziare con la Bce e la Dg Comp Ue, attraverso la proroga di 6-12 mesi, il Tesoro non vuole lasciare nulla di intentato. L'azionista pubblico dovrebbe intavolare un negoziato con le Autorità europee per farsi autorizzare una strada diversa (spezzatino o prolungamento della presenza pubblica), consapevole che i giochi potranno partire dopo il 30 luglio, quando usciranno le pagelle degli stress test Eba: delle quattro banche coinvolte nell'esercizio, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm ripeteranno l'exploit del 2018 riscuotendo un voto molto alto sugli indici Cet 1, mentre molti dubbi ci sono su Siena. E se l'esame dovesse accertare uno shortfall di capitale, le norme Bce autorizzerebbero il Mef a sottoscrivere il rafforzamento patrimoniale. Il capital plan del cda senese prevede un rafforzamento fino a 2,5 miliardi. Il caso Mps, quindi, è diventato una delle priorità del governo dove sia il premier Mario Draghi che il ministro Daniele Franco dovranno spendere la loro autorevolezza per dimostrare che non c'è cattiva volontà a risolvere il nodo, ma che mancano gli acquirenti.

Al tavolo del Tesoro resta comunque Unicredit: a luglio 2020 si era fatto avanti con l'ex a.d. Jean Pierre Mustier ponendo alcuni paletti. Il successore Andrea Orcel sarebbe molto più freddo di Mustier sulla convenienza industriale dell'acquisizione per Unicredit che rischierebbe di ritrovarsi con il 50% della rete in sovrapposizione, senza considerare che l'appetibilità reddituale è molto bassa. Orcel ha avuto un colloquio diretto alcune settimane addietro con il Mef ma anche lui, con garbo, ha spiegato le ragioni per le quali non può prendere in considerazione un intervento, sia pure nella cornice di concessioni che il Mef è pronto a fare per neutralizzare l'impatto sul capitale. Il banchiere romano avrebbe anteposto a tutto la necessità di completare la riorganizzazione di Unicredit, che prenderà ancora mesi, senza la quale non è immaginabile nessuna operazione straordinaria.

Di fronte alle resistenze di Orcel, il Mef gli avrebbe fatto sapere, la settimana scorsa, che al di là delle agevolazioni fiscali (Dta), eliminazione degli Npl e contenzioso legale, si potrebbe ipotizzare uno sdoppiamento in due di Mps, con la nascita di una bad bank in capo a un soggetto pubblico, contenente le passività e, come avvenne con le banche venete, la possibilità di retrocedere quei crediti in bonis che dovessero deteriorarsi. Anche questa ipotesi non convince Orcel. Per questo dieci giorni fa il dg del Mef, Alessandro Rivera, ha avuto, in videoconferenza, un colloquio con Massimo Tononi e Castagna. Uno scambio di idee durato un'ora, nella quale i due banchieri hanno ribadito di non poter essere l'interlocutore per Mps dando una tiepida disponibilità a valutare, assieme ad altre banche, alcune filiali Mps nel caso in cui il Tesoro procedesse allo spezzatino. Ieri Mps ha ribadito che non sono in cantiere soluzioni strutturali.

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0108:13 lug 2021

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