Barrick Gold — secondo produttore mondiale di metallo giallo dopo Newmont — non fa eccezione. In un nostro precedente commento sui risultati sottolineavamo che investire nel settore rimane un esercizio estremamente pericoloso.
Oltre all'impossibilità di prevedere il prezzo della materia prima in questione, le cui fluttuazioni spesso sfidano la logica, gli azionisti devono fare i conti con rendimenti generalmente molto mediocri, anche quando vengono smussati su un ciclo completo.
Barrick ne è un esempio: il prezzo dell'oro è salito da 1.500 a 2.400 dollari l'oncia negli ultimi cinque anni, sostenuto da un potente rally a partire dallo scorso anno — e questo nonostante l'aumento dei tassi di interesse, uno scenario che ancora una volta sfida completamente la logica.
Il prezzo delle azioni della compagnia, invece, non si è mosso di una virgola dall'estate del 2019. Peggio: la generazione di profitti annuali — di free cash flow — è crollata, nonostante il raddoppio degli investimenti nella produzione. Lo stesso vale per i margini operativi, che sono crollati di un terzo.
Tuttavia, nel 2023 Barrick ha prodotti il 25% di oro in meno rispetto al 2019: 4 milioni di once nell'ultimo esercizio finanziario, rispetto ai 5,4 milioni di once di allora. Se i ricavi del secondo produttore mondiale di oro non hanno beneficiato dell'inflazione nel periodo, i suoi costi di produzione e di esercizio, al contrario, l'hanno subita in pieno.
Si tratta di un dato che contraddice e distrugge il mito secondo cui il metallo giallo sarebbe la copertura ideale contro politiche monetarie irresponsabili.