Se tra le selezioni quantitative di MarketScreener, il titolo ha una buona posizione nella sezione aziende svalutate, è perché la valutazione depressa non per forza rende giustizia alle solide risorse del gruppo, né alla gestione piuttosto positiva o alla crescita repentina dell'attività di trasporto pacchi.

Grafico bpost SA/NV

bPost si appoggia, infatti, a un'infrastruttura di logistica e distribuzione unica e non riproducibile che costituisce un vantaggio competitivo nella rivalità che la oppone agli altri operatori.

Un altro vantaggio non da meno, se si pensa ai disastri del capitalismo del vicino Stato francese, è la relazione privilegiata con il governo belga che detiene la metà del capitale e ha giocato finora un ottimo ruolo di azionista di rilevanza.

Lo sviluppo dell'e-commerce, già da tempo la fetta più ambita tra i grandi operatori postali, non è mai stato così evidente come dall'inizio della pandemia: sul mercato interno, ad esempio, i volumi aumentano del 50%; benché meno spettacolare, la dinamica è simile in America del Nord dove bPost è presente con la filiale Radial.

Il gruppo presenta nell'insieme una performance operativa e finanziaria soddisfacente, più brillante che nella norma delle aziende svalutate che, ovvio, raramente lo sono senza un motivo.

Un tempo deficitaria, bPost è stata ripresa — diciamolo senza remore — da una nuova direzione nel 2003. Ciò ha condotto l'attività alla crescita e alla redditività in maniera graduale, ma non per questo meno spettacolare.

Detto ciò, l'epoca dei margini operativi a due cifre appartiene ormai al passato. Ecco il punto: il declino dell'attività postale e dei servizi pubblicitari correlati, nonché la feroce concorrenza di operatori logistici sul mercato interno, torna a essere terreno di caccia.

Attualmente, a grandi linee, un quarto del fatturato consolidato risiede nell'attività postale tradizionale, un quarto sul commercio di prossimità, mentre l'attività di trasporto pacchi, equamente divisa tra i segmenti Europa & Asia e America del Nord, rappresenta la metà del reddito.

Difficile non notare l'aumento decisamente spettacolare di quest'attività logistica e la consegna pacchi che fino a tre anni fa pesava solo un quinto del fatturato.

La strategia del gruppo, tipica delle aziende, consiste nel compensare il calo dell'attività postale tradizionale con il forte aumento dell'attività di trasporto pacchi, nonché nello sviluppare il commercio e i servizi di prossimità attraverso una rete di punti di ritiro. A questo scopo il gruppo ha ampliato la rete storica grazie all'acquisto, tre anni fa delle attività belghe di Lagardère Travel Retail.

In parallelo, bPost rinuncia alle proprie attività di retail banking a beneficio di BNP Fortis, benché conservi un ruolo attivo di intermediario e distributore attraverso la sua rete di agenzie postali. Allo stesso tempo, l'attività di carte prepagate Alvadis, che era marginale, è stata ceduta a Conway.

Tale riposizionamento, con effetto salutare, porta i suoi frutti in termini di leggibilità e di crescita del fatturato. Come sottolineato in precedenza, vi è un forte impatto sulla redditività. La generazione di cash flow non è affatto soddisfacente, circa 300 milioni di euro l'anno, ovvero una copertura raddoppiata sul dividendo attuale.

Il profitto netto diminuisce, ma principalmente sotto l'effetto di una quota di ammortamento — un valore non cash — risultato degli investimenti nelle infrastrutture quasi tre volte superiore alla media dell'ultimo ciclo. La reale capacità di beneficio oscilla a conti fatti nella media degli ultimi cinque anni.

La trasformazione del gruppo non implica pertanto un drammatico "dissanguamento", almeno per il momento!

La struttura finanziaria è di per sé sana con 1 miliardo di euro di liquidità — di cui 375 milioni tramite un credito permanente non intaccato — a fronte di circa 1 miliardo di euro di debiti a lungo termine, per due terzi obbligazionari, a un tasso dell'1,25% e scadenza al 2026, che costituiscono condizioni di finanziamento certamente ottimali.

Il debito viene mantenuto sotto controllo a 2,5 volte l'EBITDA, ma si osserva che questa ratio ha perso valore nel corso degli ultimi tre anni. Non c'è da gridare al lupo, certo, tuttavia significherà vigilare affinché il management non indebiti oltremodo il bilancio al fine di continuare ad assicurare la distribuzione dei dividendi.

In un registro un po' più critico, si osserva anche che l'ultimo piano strategico presentato nel 2017, ambiva a un EBITDA di 620 milioni di euro per il 2020. La scadenza è arrivata, ma non il risultato: il profitto al netto di tasse, interessi e ammortamenti oscilla in realtà attorno ai 350 milioni di euro.

Gli obiettivi di un tempo — che avrebbero permesso di portare la distribuzione a 300 o 350 milioni di euro l'anno — sono quindi rimandati a più tardi, cioè lasciati nel dimenticatoio. Il quadro si offusca ulteriormente, senza tuttavia arrivare a essere squalificante, se aggiungiamo delle recenti polemiche a livello dirigenziale.

Dopo questa breve panoramica, l'evento catalizzatore viene fuori chiaramente: il minimo aumento del dividendo — a oggi al simpatico tasso del 5,5%, ovvero due o tre volte maggiore al tasso senza rischio —  dovrebbe immediatamente dinamizzare il valore del titolo.

Il gruppo ha previsto che il programma d'investimento nella trasformazione limitava per il momento la distribuzione, ma tra la crescita sostenuta dell'attività di trasporto pacchi — che aggiunge alla detrazione un momentum interessante come sfondo — e un costo di finanziamento straordinariamente basso, opera con una latitudine apprezzabile.

Se nulla è garantito — qui come altrove — gli azionisti non sono dunque al riparo da brutte sorprese. Il mercato sembra tuttavia averne preso atto, come testimonia il recente decollo dei prezzi.

Il principale rischio, senza dubbio, sarebbe che la crescita delle attività dei pacchi e servizi di prossimità si riveli insufficiente per compensare l'inesorabile declino dell'attività postale tradizionale.