MILANO (MF-DJ)--Fsi, il più grande fondo corporate dedicato all'Italia e il terzo fondo growth in Europa, in quattro anni ha investito 600 milioni in fintech: circa il 50% del valore complessivo degli investimenti condotti sinora dal fondo guidato da Maurizio Tamagnini, affiancato dal cio Barnaba Ravanne, con cui Tamagnini ha co-fondato Fsi e con cui lavora da più di 20 anni. Il fondo nel marzo 2019 ha chiuso la raccolta con 1,4 miliardi di impegni sottoscritti da investitori istituzionali italiani e internazionali, oltre che da fondi sovrani.

Tutti soggetti che hanno cari i rendimenti e che su questo fronte sono stati già premiati, visto che a i 600 milioni investiti oggi corrispondono a un Irr in linea con il cosiddetto top quartile dei fondi di buyout internazionali raccolti negli ultimi cinque anni. Cioè, secondo Preqin, oltre il 20% all'anno. Insomma niente male. E infatti Tamagnini a MF-Milano Finanza ribadisce che «investire nelle belle aziende italiane è un buon investimento. Investire nelle aziende italiane fintech, in particolare in quelle che hanno già una struttura e sono aperte al cambiamento, è un ottimo investimento».

Domanda. Quando si parla di fintech, di solito si pensa a realtà giovani che hanno inventato nuovi modelli di business, che vengono finanziate da operatori di venture capital. Questo mercato, secondo i calcoli di BeBeez, nel 2021 ha raccolto 900 milioni di euro dopo i soli 247 milioni del 2020. Ma il fintech in cui investe Fsi è diverso e ha dimensioni molto più importanti. Fsi è il più grande investitore italiano in fintech. Perché credete così tanto in questo settore?

Risposta. Perché è un investimento trainante per l'economia del Paese. L'Italia, lo sappiamo, è ancora molto indietro in tema di digitalizzazione delle imprese, il nostro rapporto tra investimenti in It e pil è il più basso d'Europa e c'è quindi un'enorme opportunità da cogliere. Per questo Fsi si è strutturata con un team appositamente focalizzato sul tech, guidato dal cio Ravanne.

D. In effetti nel settore ormai avete un solido track record. E solo in quest'ultimo anno avete portato a termine due investimenti e un reinvestimento. Qual è la logica che adottate per riuscire ad avere quei risultati?

R. Lavoriamo sempre con un approccio a tre fasi: prima individuiamo la società che rappresenta nel suo settore la piattaforma di sviluppo più promettente ed entriamo nel capitale senza caricarla di debito, per lasciarla libera di investire poi per la crescita. Dopodiché la affianchiamo in questa crescita, prima a livello domestico e poi internazionale. Infine cerchiamo un partner strategico di grandi dimensioni in grado di farle fare un ulteriore salto di sviluppo e cerchiamo di restare parte di questo ulteriore sviluppo, reinvestendo nella nuova realtà. Lo abbiamo fatto con Cedacri, il gruppo specializzato in software per il banking e servizi cloud dove avevamo investito nel 2018, affiancandoci nel capitale alle banche azioniste, aiutandole quindi a razionalizzare la governance e inserendo Corrado Sciolla, un ceo di grande esperienza che ha poi operato una profonda trasformazione dell'azienda. Nel tempo abbiamo supportato il gruppo nello sviluppo dell'attività anche verso clienti non captive e abbiamo condotto altre due acquisizioni, quella di Oasi e quella di Cad.It, per ampliare l'attività al software. Dopodiché l'anno scorso abbiamo individuato come partner con il quale continuare l'avventura Ion Investment Group, il fornitore tecnologico globale del settore finanziario, fondato più di 20 anni fa dall'imprenditore italiano Andrea Pignataro. Ion ha quindi comprato l'intera Cedacri, valutata 1,5 miliardi di euro, e noi abbiamo reinvestito in minoranza.

D. Farete lo stesso percorso anche con il vostro ultimo investimento, Bcc Pay?

R. L'obiettivo è quello e mi fa piacere che l'azienda sia rimasta di proprietà italiana. Con Mauro Pastore, direttore generale di Iccrea, abbiamo condiviso un progetto industriale che parte da una piattaforma che oggi lavora solo con il gruppo Iccrea, ma che andrà molto oltre: l'idea è creare nuovi servizi per Iccrea, ma anche essere attraenti per altre banche di piccola e media dimensione. Come in Cedacri, abbiamo trovato in Bcc Pay ottime competenze nel team guidato dal ceo Fabio Pugini. Anche in questo caso il nostro orizzonte di investimento è di medio-lungo periodo.

D. Tornando al tema dei partner strategici, Ion sarà vostro partner anche nel vostro prossimo investimento in Cerved, visto che avete sottoscritto un impegno di finanziamento da 150 milioni in una delle società della catena di controllo del gruppo di business information e credit management, appena delistato proprio a seguito dell'opa lanciata da Ion. A che punto è l'operazione?

R. Per quanto ci riguarda, ipotizziamo che ci possa volere ancora un po' di tempo. Ma si tratta ovviamente di un progetto assai interessante e Pignataro è un imprenditore visionario, che porterà sia Cerved sia Cedacri a giocare un ruolo di alto livello in Europa.

D. Molti grandi player del fintech italiano sono stati promossi da consorzi di banche, una struttura del capitale che non può essere efficiente oggi, se si vuole restare competitivi a livello internazionale. Come fate a gestire queste situazioni?

R. Lo abbiamo imparato tempo fa. Sul settore abbiamo un'esperienza decennale, visto che il team di Fsi è in realtà lo stesso che lavorava una volta per Fondo Strategico Italiano del gruppo Cdp. Nel 2013 avevamo investito in Sia, il leader nei servizi e nelle infrastrutture di pagamento, che grazie poi al supporto di Cdp Equity si sta ora sposando con la paytech quotata Nexi, che a sua volta si è fusa con la danese Nets. Il gruppo si trasformerà nella più grande piattaforma paytech a livello paneuropeo. Quando siamo entrati in Sia il capitale era in mano anche in quel caso a un nutrito gruppo di banche. Nel mondo del tech l'innovazione è continua e vanno prese delle decisioni in tempi brevissimi, per questo è importante che le società consortili si dotino di regole societarie semplici ed efficaci che permettano di implementare piani aziendali trasformativi. Sul tech abbiamo un punto di osservazione privilegiato, essendo io presidente di St Microelectronics, colosso europeo dell'It. E le dico che gli ingegneri e gli informatici italiani sono tra i migliori d'Europa, per questo ci teniamo così tanto a scoprire aziende italiane tech in cui investire.

D. Quali saranno i prossimi target tech?

R. Stiamo guardando a piattaforme software, in particolare a quelle di Erp (Enterprise Resource Planning) e software gestionali per le imprese. A oggi l'investimento più simile che abbiamo fatto è quello in Lynx, system integrator specializzato in soluzioni tecnologiche a supporto di grandi aziende nel settore utility, di banche, assicurazioni e pubblica amministrazione. In sostanza la società, guidata da due giovani imprenditori, Matteo e Federico Moretti, fa scouting di tecnologia laddove ci sono le nuove frontiere, in particolare negli Stati Uniti, in California. Lynx è una piattaforma aperta ad altri system integrator italiani disposti a condividere un progetto di crescita dimensionale importante. Proprio di recente per esempio Lynx ha comprato la toscana Iol, con gli imprenditori venditori che sono stati portati a bordo del gruppo.

red

lucrezia.degliesposti@mfdowjones.it

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