Uno dei punti dolenti delle suddette selezioni è sui criteri “trading”. Nonostante il ruolo da azionisti strategici svolto meravigliosamente, il controllo della famiglia Dassault — che possiede il 62% del capitale — e del gruppo Airbus — 10% — riduce il flottante a poca cosa.

Dato che il gruppo non ha bisogno di reperire capitale — bensì ne restituisce attivamente agli azionisti — è difficile vedere cosa potrebbe dinamizzarne la valorizzazione, a parte forse un sostanziale aumento del dividendo.

Grafico Dassault Aviation

La situazione pertanto non è priva di interesse. Tolto il cash in eccesso di circa 3 miliardi di euro e una partecipazione del 25% in Thalès, grossomodo 4 miliardi di euro al prezzo di mercato, la capitalizzazione borsistica di 7,5 miliardi di euro sembra non dare nessun valore all’attività industriale del gruppo. Tale stranezza attira ovviamente l’attenzione, soprattutto a seguito del mega contratto firmato la scorsa settimana negli Emirati Arabi.

Si potrebbero sicuramente dedicare interi capitoli al vantaggio competitivo di Dassault, leader mondiale dell’aviazione civile e militare con gamme quali Falcon e Rafale. Grazie a un know-how unico, sovrano, altamente strategico e non riproducibile, gode inoltre del sostegno totale dello Stato francese, attraverso la diplomazia commerciale e un volume di ordini garantito.

Dopo un certo ritardo nel decollo, i Rafale si vendono come pane. I clienti aspettavano palesemente impegni operativi completi — come in Libia e in Siria — per terminare di convincersi delle capacità dei caccia multiruolo. In termini di rapporto qualità-prezzo, quest’ultimo rimane decisamente superiore ai due rivali europei, il Gripen di Saab e il Typhoon sviluppato dal consorzio BAE-Airbus-Leonardo.

Tutto ciò è ben noto, ma non impedisce che la valorizzazione ristagni da otto anni nonostante uno storico redditizio convincente e un portafoglio ordini pieno fino al 2030. È piuttosto raro che un’azienda redditizia e protetta da un immenso vantaggio competitivo — il famoso concetto di "moat" reso noto da Warren Buffett — si venda quasi a zero. Com’è possibile?

Ecco alcuni indizi: innanzitutto il cash in eccesso non è probabilmente totalmente “free” poiché può rapidamente ritrovarsi immobilizzato dal lancio di un nuovo programma di R&S; poi, nonostante la quotazione, la partecipazione in Thalès non è affatto “liquida”, poiché troppo strategica per essere ceduta — anche parzialmente — al primo arrivato; infine, a causa dei criteri ESG imposti ai grandi investitori istituzionali, il settore della difesa non è più così allettante...

A livello finanziario il fatturato cresce da 4 a 6 miliardi di euro sull’ultimo decennio, con un margine netto mantenuto attorno al 10% e soddisfacenti rendimenti sul capitale utilizzato. Dal canto suo il bilancio non pone problemi con attività correnti che da sole coprono più volte l’insieme del passivo.

(Per inciso, si noti che la riconciliazione dei risultati contabili con i flussi di cassa è eccessivamente complessa a causa di forti variazioni nei bisogni di capitale circolante.)

Il management ha svolto acquisizioni massive di azioni tra il 2014 e il 2016: molto intelligente sulla carta, ma la decisione ha ridotto di un quinto il numero di titoli in circolazione, senza tuttavia produrre — per il momento — effetti sul prezzo dei titoli. Ma non è forse solo questione di tempo?

Visto da un’altra prospettiva, nell’ultimo decennio Dassault Aviation ha generato circa 4 miliardi di euro in utili, di cui 3 miliardi sono stati restituiti agli azionisti tramite riacquisti di azioni e dividendi. Potremmo porre in relazione questi utili potenziali — previsti in crescita per il prossimo decennio — con il valore dell’azienda di 4,5 miliardi di euro, inclusa la partecipazione in Thalès.

In termini strategici, il gruppo favorisce una crescita organica “tradizionale”, al contrario dei giganti della difesa anglosassoni che moltiplicano le acquisizioni. Le vendite del Rafale in India, Egitto e negli Emirati assicureranno un flusso di reddito stabile grazie alle consegne degli apparecchi, ma anche grazie alle vendite dei pezzi di ricambio e ai differenti servizi di mantenimento e formazione.

Ormai giunto a maturità, il programma Rafale ha indubbiamente dei decenni davanti a sé: l’esempio dell’F-16, per citarne uno, ha dimostrato che una piattaforma multiruolo ed evolutiva può servire per più di quattro decenni senza perdere in competitività. Rispetto alle vendite di Falcons, rallentate dalla pandemia, dovrebbero ritrovare la loro rotta non appena vi sarà un miglioramento nella congiuntura.

Ecco pertanto una situazione molto interessante che, nonostante alcune sfumature qui sottolineate, merita sicuramente una particolare attenzione da parte degli investitori intraprendenti, tra cui chiaramente gli appassionati di aeronautica.