Questa operazione di crescita esterna da 1,3 miliardi di dollari — la più grande nella storia di Campari — è tanto una scommessa contrarian quanto un modo per il gruppo italiano di sviluppare una testa di ponte negli Stati Uniti, la pietra angolare della sua futura strategia di sviluppo.

Il cognac è stato un liquore particolarmente popolare negli ultimi anni, ma le vendite tendono ad esaurirsi. Campari attribuisce questo fenomeno a un eccesso di scorte durante la pandemia, piuttosto che a una flessione duratura a favore di tequila e bourbon; a ciascuno la sua interpretazione.

Non è la prima volta che il gruppo investe controcorrente. La sua incursione nel bourbon ne è un esempio lampante: nel 2009, tra le rovine lasciate dalla grande crisi finanziaria, ha acquistato il marchio Wild Turkey; da allora le vendite del marchio con sede nel Kentucky sono triplicate.

L'amministratore delegato Bob Kunze-Concewitz — che lascerà Campari ad aprile dopo sedici anni in testa — vede delle analogie tra le due operazioni. Il gruppo italiano ha triplicato le vendite e gli utili sotto la sua guida, ma in futuro la sua eredità sarà misurata in base al successo dell'integrazione di Courvoisier.

I due miliardi precedentemente investiti in acquisizioni hanno prodotto un rendimento discreto, ma non stellare. Gli azionisti puntano quindi sulla natura difensiva dell'azienda e sulla sua capacità di migliorare i margini — ancora molto lontani da quelli di Diageo e Pernod-Ricard — puntando alla conquista del mercato nordamericano.

Come l'azienda francese, anche il gruppo controllato dalla famiglia Garavoglia si è finora attenuto a un metodo di gestione più cauto e meno aggressivo di quello adottato da Diageo, con un uso molto minore della leva finanziaria. Tuttavia, l'acquisizione di Courvoisier ha portato il livello di indebitamento ai massimi storici.

Ecco spiegato il ritorno dei multipli di valutazione alla media decennale.