R. Perché solo quei 74 MW avevano completato gli iter autorizzativi, e questo dà una misura di quanti progetti rimangano impigliati nelle maglie della burocrazia. Si calcola che in questo momento in Italia ci siano progetti con sviluppo avanzato/maturo per più di 35mila megawatt, fermi nelle varie fasi di ottenimento dei permessi e nell'ultimo anno le richieste di connessione hanno superato i 100mila megawatt: l'imprenditoria italiana c'è, e dimostra spirito di iniziativa, ma poi si trova davanti troppi ostacoli.

D. Il ministro Cingolani afferma di essere impegnato in una battaglia quotidiana su questo fronte. Che risultati sta portando a casa?

R. È un po' presto per dirlo, perché è un lavoro che sta andando in profondità e agisce su una situazione che si trascina da almeno un decennio. Penso che da tanto impegno scaturiranno risultati positivi, però bisogna continuare a lavorare molto. Il nostro studio sulla governance è un tentativo di dare una mano, e di avanzare soluzioni che poi naturalmente sono proposte. Spetta al Governo e agli enti preposti farle proprie o migliorarle.

D. Nel frattempo, il mercato dell'energia vede i prezzi, in particolare del gas, in salita, mentre c'è una domanda crescente perché l'economia è in ripresa. Che previsioni fa, e che impatto stima per Enel?

R. Non è una sorpresa che i prezzi del gas siano volatili, lo sono stati e lo saranno sempre. La volatilità danneggia l'economia e il futuro stesso dell'Europa. Dunque, penso che la soluzione sia prima di tutto cercare di sviluppare i mercati a lungo termine per ammortizzare questa volatilità, sia per il gas che per l'energia elettrica, e ridurre drasticamente la nostra dipendenza dal gas, aumentando in proporzione la nostra penetrazione di energia rinnovabile all'interno del sistema europeo. Ci vorrà tempo, il gas purtroppo è una commodity che non dipende da noi governare, e dalla quale l'Europa è ancora troppo dipendente.

D. Del vostro mix energetico, spostato sempre di più verso le rinnovabili, il mercato guarda con attenzione anche il ritorno degli investimenti. Com'è la profittabilità rispetto agli asset tradizionali?

R. L'investimento in energie rinnovabili è competitivo rispetto a quello nelle energie tradizionali, e lo è ormai da almeno 3 anni. Lo sta diventando anche nei confronti di impianti già esistenti, quindi ampiamente ammortizzati. La strada è irreversibile, non si torna indietro. Aggiungo che poi la volatilità delle materie prime petrolifere di cui parlavamo prima, sta rendendo le centrali tradizionali sempre meno convenienti, perché è difficile prevedere una redditività di un impianto termico in una situazione del gas così instabile.

D. Cosa risponde a chi sostiene che le rinnovabili da sole non possono garantire gli obiettivi della neutralità carbonica al 2050, e che servano altre fonti, come il nucleare?

R. Nessuna fonte di energia può bastare da sola, vale per il gas, per il nucleare, e valeva per il carbone. L'ho sempre sostenuto. L'apporto delle rinnovabili nel mix energetico però deve crescere, perché quando si arriverà a una percentuale superiore al 60-70%, i combustibili fossili saranno così marginali da non provocare più impatti sui prezzi come quelli che vediamo in questi giorni. Ben venga quindi anche il contributo del nucleare francese. Il risultato deve essere quello di liberarsi dalle volatilità delle materie prime, assicurare forniture di energie costanti, affidabili e a basso prezzo. I combustibili fossili rappresentano un rischio, per l'ambiente e per le tasche dei consumatori.

D. E sul fronte dell'idrogeno verde, questo sì ancora economicamente non competitivo, come vi state muovendo?

R. Stiamo portando avanti i primi progetti, ma gli sviluppi industriali richiedono tempo, intelligenza e perseveranza. I risultati li vedremo tra almeno 3 anni. L'obiettivo è creare le condizioni perché l'idrogeno verde diventi una realtà. Sono fiducioso.

D. Cosa si aspetta dalla Cop26 di Glasgow?

R. Sicuramente una forte risoluzione sulla lotta ai cambiamenti climatici, che impegni davvero i singoli Paesi a restare almeno nel quadro degli accordi di Parigi. L'attenzione è soprattutto per il nuovo corso degli Usa, la Cina e anche l'India, perché l'Europa ha imboccato già questa strada. Ma vorrei che dal summit di Glasgow emergesse finalmente anche una separazione concettuale tra quello che va fatto nei prossimi 10 anni, cioè gli interventi che ci consentono di decarbonizzare nell'immediato, e il dopo 2030, che appartiene al mondo della ricerca e non è ancora realtà industriale. Questa separazione non è stata chiara finora, e mi auguro che la Cop26 serva anche a questo.

fch

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September 13, 2021 02:13 ET (06:13 GMT)