MILANO (Reuters) - La procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio di Saipem, del suo ex AD Stefano Cao e dell'ex direttore finanziario Alberto Chiarini con le imputazioni di falso in bilancio, falso in prospetto e aggiotaggio in relazione all'operazione con cui nel gennaio 2016 Eni vendette il 12,5% della società a Cassa Depositi e Prestiti.

Lo si evince dal documento che Reuters ha potuto leggere dopo che è stato fissato per il prossimo 10 maggio l'avvio dell'udienza preliminare al termine della quale un giudice dovrà stabilire se mandare a processo o prosciogliere gli imputati.

L'inchiesta, condotta dai pm Giordano Baggio, Piero Basilone e Paolo Filippini, sostiene che i vertici aziendali ingannarono mercato, azionisti e risparmiatori nascondendo le reali condizioni di Saipem sovrastimando le previsioni economiche del piano strategico 2016-2019 nel bilancio consolidato del 2015 e nella relazione semestrale 2016; occultando lo stato della società nel prospetto dell'aumento di capitale fino a 3,5 miliardi di euro approvato a fine ottobre 2015; traendo in inganno il mercato sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria attraverso sette diversi comunicati dall'ottobre 2015 al luglio 2016.

Il prezzo di acquisto venne fissato nell'ottobre 2015 fra i 7,40 e gli 8,80 euro per azione, ma il valore del titolo crollò di oltre il 30% dopo che Saipem, fra l'intesa sul prezzo e il closing dell'operazione a gennaio 2016, annunciò ulteriori svalutazioni per 1,3 miliardi.

Secondo la procura questi dati dovevano essere comunicati già nel 2015, ma le clausole del contratto su "material adverse change" e "material adverse effects" avrebbero potuto far saltare l'operazione di vendita da Eni a Cdp.

Saipem, contattata da Reuters, non ha commentato.

Fonti a conoscenza del dossier precisano però che le difese nel corso dell'inchiesta avevano argomentato che i peggioramenti della profittabilità erano ben noti al mercato.

Il legale di Cao e Chiarini non ha risposto a una richiesta di commento.

Il tutto, si legge nell'atto, si risolse con l'aumento di capitale di Saipem con l'emissione di nuove azioni per 3,2 miliardi, un finanziamento di 4,7 miliardi a Saipem da parte di un pool di banche, il rimborso del debito finanziario da parte di Saipem a Eni per 5,5 miliardi di euro.

Secondo la Procura l'operazione fu vantaggiosa per Eni che potè deconsolidare, incassò 463 milioni e non dovette più iscrivere a bilancio il debito di Saipem, ma l'aumento di capitale danneggiò i piccoli azionisti, il consorzio di 11 banche e Cassa Depositi e Prestiti.

(in redazione a Milano Emilio Parodi, Sabina Suzzi, mailto:emilio.parodi@thomsonreuters.com; +39 02 66129523)