ROMA (MF-DJ)--Chi lo avrebbe mai detto, appena un anno fa, che le obbligazioni avrebbero ricominciato a offrire rendimento? E chi avrebbe pensato che un colosso come Eni sarebbe tornato dopo 11 anni sul mercato dei bond retail? Un'emissione da un miliardo di euro (che potrà raddoppiare in caso di surplus della domanda) a un tasso fisso non inferiore al 4,3% e tasso di interesse a scadenza collegato ai target di riduzione delle emissioni nette di gas serra.

Non pochi operatori, scrive Milano Finanza, ritengono il tasso molto generoso, anche rispetto a emissioni simili con una duration inferiore di un anno. Secondo fonti di mercato, esistono più spiegazioni. La prima risiede nella sfida green che attende gli operatori oil & gas. Il percorso richiederà un forte lavoro per rivoluzionare interi modelli di business, in un contesto non semplice in cui alcuni investitori hanno penalizzato eccessivamente le aziende del comparto, nonostante risultati eccellenti. Per cui questo tasso sarebbe un incentivo, oltre che un premio per la fiducia accordata. Inoltre, bisogna considerare un aspetto importante: la volontà di Eni di allargare il parterre degli investitori, nella convinzione che il retail giocherà un ruolo fondamentale. Va però considerato che la finestra per sottoscrivere i bond retail dura di più rispetto agli istituzionali. In questo lasso di tempo potrebbero esservi differenze di tasso per cui il rendimento maggiore rappresenta un ulteriore premio all'investitore.

È insomma palese la sfida al rendimento tra il Cane a sei zampe e il Tesoro, tanto più che Eni ha un rating appena più elevato (A- per S&P, Baa1 per Moody' s) rispetto al Btp (tripla B). Una corsa sul filo di lana, che però dà l'idea di una convinzione diffusa tra analisti e gestori: il 2023 sarà l'anno dei bond. Cambio di rotta. Che il vento sia cambiato è evidente. Il tracollo dei prezzi delle obbligazioni del 2022 permette a chi ha oggi liquidità da impiegare di posizionarsi su sottostanti a elevata redditività, anche senza allungare eccessivamente le scadenze o esasperare il rischio di credito scegliendo emissioni high yield o subordinate. Il cambio di regime è stato determinato dall'inversione delle politiche monetarie delle banche centrali, tornate con violenza da falchi sulla parte a breve della curva dei rendimenti nel tentativo di domare un'inflazione fuori controllo, anche se alimentata da dinamiche che poco hanno a che fare con la domanda. La ciliegina sulla torta è poi rappresentata dall'uscita dalle politiche ultra-accomodanti applicate dopo la grande crisi finanziaria del 2008 e le criticità dei Paesi periferici del 2011-12 (Btp decennale al 7,5% annuo).

Se è vero che l'alleggerimento del bilancio delle banche centrali potrebbe alimentare una pressione al rialzo nei rendimenti di mercato, gli attuali sono già su valori sufficientemente elevati per fronteggiare la volatilità che il 2023 potrebbe riservare. Ma ci sono alcune accortezze da tenere in considerazione, sia sul versante del reddito fisso sovrano che su quello corporate. Una valanga di bond. Quest' anno sul mercato ci sarà un'ondata di emissioni dell'Eurozona come non si era mai vista. Anche nella più rosea delle previsioni l'avvio del quantitative tightening da parte della Bce potrebbe provocare un'immissione sul mercato di 440 miliardi di euro di emissioni sovrane che dovranno in qualche modo essere coperte. Per capire le proporzioni, dopo la grande crisi del 2008-09 l'anno record è stato il 2010, quando i miliardi furono 222. Appena la metà. E quella dei 440 miliardi, va ribadito, è la più ottimistica delle prospettive: se Francoforte decidesse, nel terzo e quarto trimestre del prossimo anno, di portare a scadenza tutte le obbligazioni sovrane che ha in pancia e non ricomprare più nulla (un full passive quantitative tightening) sul mercato finirebbe una valanga di bond: 480 miliardi.

Il ruolo della Bce. I dati provengono da due elaborazioni di AcomeA sgr consultate da MF-Milano Finanza e proposte in pagina, che calcolano il cosiddetto net cash requirement (ncr) degli 11 principali Paesi dell'area euro dal 2009 a oggi. Le proiezioni per il 2023 sono state effettuate prendendo in considerazione cinque scenari di quantitative tightening per il secondo semestre. L'indicatore ncr, che può essere positivo o negativo, esprime in miliardi di euro la differenza tra le emissioni che sono immesse sul mercato e i titoli che vengono acquistati dalla Bce. Se il valore è negativo significa non solo che sul mercato non è finito niente, ma anche che un certo ammontare di obbligazioni è stato tolto come conseguenza degli acquisti della banca centrale. Ad esempio, in Italia nel 2009 il valore è positivo per 50 miliardi: significa che, se il Paese ha emesso 250 miliardi di bond, la banca centrale ha acquistato 200 miliardi e sul mercato è finita la differenza.

Fine del denaro gratis. Cosa racconta la serie storica? Nel 2016, anno di picco del Quantitative easing, le emissioni nette erano negative per quasi 600 miliardi. A tanto ammontava la quantità di titoli di Stato che nel periodo sono stati tolti dal mercato. «Quest' anno, per la prima volta dopo molto tempo», commenta Alberto Foà, presidente di AcomeA sgr, «il deficit pubblico andrà finanziato direttamente sui mercati». A ciò si aggiungerà, dal secondo trimestre, il quantitative tightening.

A partire dal 2015, ricorda il money manager, i deficit pubblici dell'area euro «sono stati più che interamente finanziati dalla Bce, quindi il mercato dei titoli di Stato ha beneficiato di emissioni nette negative». Attenzione però: «I bond sovrani», conclude Foà, «sono attività risk free, e quindi non ci sarà mai carenza di domanda: quello che bisognerà vedere è a quali rendimenti il mercato sarà disponibile ad assorbire questa maggiore offerta».

Come investire. Fabio Castaldi, senior investment manager di Pictet Asset Management, stima per il 2023 558 miliardi di titoli di Stato che il mercato dovrà assorbire senza appoggio della Bce. «È facile ipotizzare», osserva, «un allargamento del premio di rischio -compresso dalla Bce negli anni del quantitative easing- richiesto dagli investitori soprattutto sulla parte lunga della curva». Il disimpegno della Bce, d'altro canto, avrà l'effetto di «imporre una maggiore disciplina fiscale agli emittenti governativi più esposti sul lato del debito, Italia in primis, pena pressioni di mercato sugli spread». Infine sono importanti le implicazioni sugli spread fra diversi strumenti: «la dinamica di restringimento tra tassi swap e rendimenti dei governativi», evidenzia Castaldi, «è già in atto e ci aspettiamo possa proseguire durante l'anno». Allo stesso modo il drenaggio di liquidità da parte della banca centrale porterà «a condizioni finanziarie meno accomodanti che a loro volta possono implicare l'allargamento degli spread di credito e curve più ripide in questo comparto».

Uno spazio considerevole riusciranno a ritagliarselo i corporate bond. L'ultima settimana è stata ricca sul fronte del collocamento primario: Enel è partita il 9 gennaio, raccogliendo oltre 15 miliardi di ordini per il suo bond dual tranche da 1,75 miliardi. Hanno fatto poi eco Unicredit, Banco Bpm e Pirelli, mentre subito dopo è arrivata Eni, seguita da Iccrea Banca e Banca Ifis. Icrrea Banca ha collocato un social bond da 500 milioni di tipo senior preferred con scadenza il 20 gennaio 2028 (rendimento del 6,875%), mentre Banca Ifis ha collocato un bond senior preferred a 4 anni con scadenza 19 gennaio 2027 da 300 milioni (con richieste per oltre 400 milioni) che rende il 6,25%. Come sottolinea Stefano Fossati, direttore Investment Advisory & Solutions CheBanca!, «il mondo obbligazionario è tornato alla ribalta, dopo un lungo periodo di bond con rendimenti negativi; questo ha riacceso l'attenzione da parte dell'investitore finale verso questa soluzione di investimento». Nelle prime settimane dell'anno ci sono state più emissioni da parte di gruppi finanziari rispetto che alle altre corporate, «forse anche per questo la domanda dei gestori si è concentrata maggiormente sulle altre corporate», spiega Anna Guglielmetti - head of institutional multi asset class solutions di Credit Suisse, sottolineando anche come «la domanda sui finanziari è stata inferiore anche perché i gestori erano già molto esposti sul comparto». Un aspetto interessante sottolineato da Guglielmetti è il fatto che nel 2022 vi siano state scadenze per circa 130 miliardi per le corporate non finanziarie del mercato euro e nel 2023 si stima che siano 150 miliardi e questo delta di 20 miliardi sarebbero già stati raccolti in pre-funding. Per Guglielmetti, comunque, la finestra principale sarà il primo trimestre: «La Bce ha annunciato che comprerà meno a partire da marzo, per cui molti sono interessati a emettere entro questa finestra per garantirsi uno dei grandi acquirenti di bond». Tipicamente, trovare nel mondo dei corporate bond prodotti destinati al retail è impresa ardua, specie in Italia. Come si nota dalla tabella, esistono alcune carte interessanti come il bond Mediobanca con scadenza al 2024, l'Intesa Sanpaolo al 2026, fino al bond a tasso fisso di Volkswagen, ma sembra poca cosa rispetto agli strumenti destinati a investitori istituzionali. Eppure il 2023 potrebbe riservare piacevoli sorprese per i retail, con la domanda che tirerà l'offerta. «Abbiamo una visione positiva sul comparto per l'anno appena iniziato, con un rinnovato interesse anche da parte degli emittenti anche in risposta alla crescente domanda», aggiunge Fossati. Secondo gli esperti, un fattore che spingerà la domanda potrebbe essere il possibile

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January 16, 2023 02:40 ET (07:40 GMT)