Di Alessandro Minuto Rizzo - ex segretario generale della Nato

MILANO (MF-DJ)--Siamo stati colti di sorpresa dall'improvviso crollo dell'Afghanistan. Che cosa è successo e perché?

Difficile capire bene le cose mentre la storia scorre sotto i nostri occhi. Ma bisogna provarci perché il tema è troppo importante per essere lasciato alle cronache televisive. Stiamo parlando di un Paese dove la comunitài nternazionale, partendo dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, fin dal 2001 aveva autorizzato la presenza di forze internazionali. È passato molto tempo e quindi ci siamo un po' dimenticati dei talebani di allora, una forma di estremismo che veniva contestato dagli stessi Paesi musulmani. Come quando vennero distrutte a cannonate antiche statue buddiste, simbolo di un altro periodo storico. Qualsiasi forma di modernità a partire dalla musica era vietata, come l'istruzione per le donne, obbligate a coprirsi da capo a piedi in un'umiliante condizione. Non parliamo di diritti umani e di qualsiasi affermazione si allontanasse dall'ortodossia. Per completare questo rapido passaggio storico-politico va ricordato anche che l'Afghanistan era stato invaso dall'Unione Sovietica nel 1979 ed è stato teatro di una crudele guerra civile conclusasi un decennio dopo, in seguito al ritiro sovietico che aveva lasciato il Paese nella desolazione e nella povertà, con una popolazione dimezzata dalla fame e dalle violenze. Una storia molto dolorosa, che questo povero Paese non si merita.

Partendo da qui come si arriva al crollo di quelle istituzioni che dovevano rappresentare il futuro dignitoso dell'Afghanistan? Cerchiamo di mettere in fila qualche considerazione. In primo luogo era evidente da alcuni anni l'intenzione americana di lasciare il Paese. La presenza militare è stata drasticamente diminuita lasciando spazio ai talebani. Si è capito che la conclusione era questione di tempo (ma di certo non «questa» conclusione). Decisiva e profondamente errata è stata la decisione di Donald Trump di aprire un negoziato in Qatar con i talebani escludendo il legittimo governo di Kabul. Un chiaro segnale pubblico di umiliazione.

Un negoziato chiaramente anomalo, in cui il dato centrale appariva l'impegno a non organizzare attentati negli Stati Uniti. Promesse scritte sulla sabbia, come le altre sull'uso della violenza, poiché si trattava di una copertura di facciata che il governo di Kabul ha dovuto ingoiare senza poter reagire. Un duro colpo per il governo uscito a fatica da un processo elettorale fortemente voluto a Washington. Si ricordi che l'operazione della Nato in Afghanistan era nata l'11 agosto 2003 con la presenza a Kabul dell'intero Consiglio Atlantico, presieduto da chi scrive, con grande ufficialità e visibilità mediatica (e finita nel dicembre 2014). In quei giorni si considerava ormai chiuso un periodo e si voleva aiutare il Paese a rimarginare le ferite per costruire istituzioni e società al passo con i tempi, come chi scrive aveva avuto modo di sottolineare in «La strada per Kabul» (edizione Il Mulino, 2009).

La nuova operazione «Train and Equip» era infatti rivolta esclusivamente all'addestramento delle forze armate nazionali. Obiettivo legittimo e portato avanti dignitosamente da molti Paesi Nato, tra cui l'Italia. Non sfugge però che le regole d'ingaggio prevedevano attività ben limitate e circoscritte. È come lottare con una mano sola - e si sapeva - e i risultati si vedono in questi giorni. L'Italia ha partecipato a questo esercizio con serietà e lealtà. A quanto risulta il nostro Paese sarebbe stato favorevole a non interrompere drasticamente questo compito di rafforzamento delle istituzioni afghane. La comunità internazionale nel suo complesso ha anche promosso attività di assistenza allp sviluppo. Più di 40 Paesi hanno investito in progetti di vario tipo. Purtroppo il loro impatto si è rivelato modesto per la mancanza di coordinamento fra i donatori, ognuno dei quali ha scelto i progetti e agito in autonomia secondo le proprie regole nazionali. Un capitolo che andrebbe approfondito.

Sul versante interno della nazione afghana, quello che doveva dare l'ossatura politica al Paese, vi è stato un vistoso fallimento. Si tratta dell'altra metà di questa storia. All'inizio le cose sembravano ben avviate, con Karzai come presidente e leader riconosciuto della lotta anti-talebana. Era stato eletto dalla Loya Jirga, la Grande Assemblea dei capi tribali, nel 2002. Le prime elezioni generali si sono poi svolte nel settembre 2005 sotto l'egida delle Nazioni Unite. È sorto un vero Parlamento, a cui si sono accompagnati movimenti politici. Sono nati organi di informazione ragionevolmente diffusi. Il livello di istruzione è aumentato e la condizione femminile è cambiata notevolmente. Sviluppi non eguali dappertutto, ma l'impressione era quella di una società in movimento, sia pure faticoso, verso un futuro più moderno.

Diciamo pure che l'obiettivo finale della presenza internazionale non era stato definito in forma precisa, ma era ben chiaro dal contesto e da una serie di decisioni concrete, che volevano avviare istituzioni moderne, una società dove i diritti umani fossero riconosciuti, le donne e le minoranze fossero in una situazione di parità, il pluralismo politico fosse sufficiente.

Non è dunque vero che l'obiettivo della presenza fosse solo la lotta al terrorismo internazionale. Il presidente statunitense Joe Biden ha isolato questo aspetto, che invece fa parte di un quadro più ampio e significativo. Le cose sono notevolmente peggiorate in occasione delle ultime elezioni per un insanabile contrasto fra Ghani e Abdullah. Il secondo, rappresentante della minoranza uzbeka, ha gridato ai brogli in favore di Ghani, espressione della maggioranza Pashtun. Vi sono stati interminabili conteggi protrattisi per mesi e conclusi solo dopo varie mediazioni con Ghani presidente e il rivale primo ministro. L'impressione è stata quella di un'incerta tregua che ha molto indebolito il governo dando un'immagine di instabilità.

Però è anche chiaro che la struttura amministrativa di base è debole perché la società afghana non può esprimere una classe dirigente di livello, dopo decenni di guerre rovinose. Tutto questo è ben noto e comunque non giustifica l'instaurazione di un emirato islamico. Il quadro che abbiamo descritto mostra che il campo talebano è diventato gradualmente più forte. Non dimentichiamo che ha avuto aiuti esterni ed entrate dall'esportazione di droga e che il Pakistan ha dato un supporto insostituibile.

L'esercito afghano si è dissolto vedendo la partenza definitiva degli americani, che si sperava fino all'ultimo decidessero di restare. Agli occhi della gente gli Stati Uniti erano i garanti indispensabili dello sviluppo politico, oltre che decisivi in campo militare. Gli specialisti sapevano che l'esercito afghano aveva numeri sulla carta ma non era seriamente operativo. Mancava di una tradizione nazionale unitaria, non era addestrato all'utilizzo di armi sofisticate, l'aviazione non è mai stata usata in mancanza dell'assistenza americana.

Dopo tanti investimenti, pagati anche col sangue, si poteva restare nel paese con una presenza a bassa intensità. Avevamo lasciato credere agli afghani che sarebbero stati accompagnati nel difficile cammino verso il rispetto dei diritti umani e un po' di pluralismo.

Da parte occidentale sono stati fatti molti errori. Si sarebbe dovuto investire molto di più in campo politico, costringendo la politica governativa a trovare intese durature fra i suoi vari esponenti. Il modello di costruzione delle nuove forze armate avrebbe dovuto essere più consono alle tradizioni locali. Si sarebbe dovuto essere più fermi sulle ingerenze del Pakistan.

La storia ci mostra che le soluzioni durature possono essere solo politiche. Mostra che le elezioni sono solo un accompagnamento, poiché il cammino verso la democrazia avviene attraverso processi di trasformazione lenti, che coinvolgono in profondità.

Questo vuol dire che dobbiamo abbandonare le speranze di una crescita dei diritti umani e dei diritti delle donne nel mondo? No. Dobbiamo imparare degli errori, cercare di capire meglio il contesto di ogni Paese e non lasciare l'impegno a metà strada.

fch

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August 23, 2021 03:38 ET (07:38 GMT)