ROMA (MF-DJ)--Prezzi alle stelle ancora prima di uscire dalla stalla. Con l'aumento dell'inflazione e il rincaro delle materie prime produrre latte rischia di diventare troppo costoso. Formato per l'86% da pmi, il settore lattiero caseario italiano si trova oggi a fare i conti con una crisi peggiore di quella della pandemia. Tirando le fila degli ultimi sei mesi, l'unica voce davvero positiva riguarda le esportazioni. Per questo motivo, Paolo Zanetti, presidente dell'associazione Assolatte, crede che questa possa essere una valida alternativa per crescere.

Domanda. Prima la pandemia poi la guerra. Qual è stato l'effetto degli ultimi eventi sul settore lattiero caseario?

Risposta. Durante la pandemia ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo adoperato tutti gli strumenti di sicurezza per continuare a lavorare. In questo modo, il settore non si è fermato e non abbiamo mai sprecato neanche una goccia di latte. Da quando è iniziata la guerra, però, l'inflazione ha imposto costi enormi già all'agricoltore, che ha visto il prezzo della soia - principale alimento dei bovini - aumentare a dismisura. Di conseguenza, il latte ora esce dalle stalle che già costa 55 centesimi al litro, 48,6% in più rispetto a prima della pandemia. Poi, nella fase di produzione si aggiungono i costi della plastica e dell'energia, con il gas che nell'ultimo anno ha registrato un aumento del 723%.

D. Come stanno reagendo le aziende?

R. Sono preoccupate. Nel nostro settore non è semplice trasferire a valle costi che continuano ad aumentare. Così per restare sul mercato ci vogliono spalle larghe e una solida posizione finanziaria. A queste preoccupazioni si aggiungono quelle per i consumi che temiamo si riducano ulteriormente, con potenziali problemi anche occupazionali. Infatti, finora le aziende del settore hanno scaricato molto poco sulla distribuzione, sacrificando i propri margini, ma questo è bastato a causare una contrazione nelle vendite. Tra gennaio e aprile, gli acquisti domestici di formaggi hanno segnato un calo del 5%, mentre quelli del latte alimentare si sono ridotti del 4,2% nel segmento uht e del 7,2% nel fresco.

D. Le pmi soffrono di più rispetto alle grandi imprese?

R. Non necessariamente; dipende dall'esposizione finanziaria più che dalle dimensioni. Le aziende più solide e meno indebitate reagiranno meglio al rialzo dei tassi e all'aumento del costo del denaro, mentre quelle che non riescono a stare al passo dovranno vendere o abbassare le serrande.

D. E il consumatore finale, come si colloca in questo scenario?

R. Quasi non si accorge del problema. Nonostante l'aumento dei prezzi e l'alto valore proteico, all'interno del carrello della spesa i prodotti del nostro settore restano forse i più economici. In media, un individuo spende circa 60 centesimi per rifornirsi di latte e formaggi. Ora, se questa cifra raggiungesse gli 80 centesimi, nonostante il balzo percentuale, il valore assoluto rimarrebbe inferiore al costo di un caffè. Alle aziende, invece, consentirebbe di alleggerire il peso dei costi sui bilanci.

D. In questo momento di difficoltà, quali sono le alternative a disposizione delle aziende per crescere nel settore?

R. Sicuramente l'export. Nel 2021 le esportazioni dei prodotti lattiero caseari hanno generato 4,1 miliardi di fatturato. Nei primi cinque mesi il trend è rimasto in forte crescita, registrando un aumento del 16,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. I dati sono la prova della resilienza di un mercato in cui, nonostante le gravi difficoltà, le aziende hanno la possibilità di crescere. Guardando poi alla destinazione dei prodotti, l'Unione europea è sicuramente privilegiata sia per distanza sia soprattutto per abitudini alimentari. Ma anche il Nord America è un segmento importante, specialmente per derivati come grana padano e parmigiano reggiano.

D. E in Asia?

R. Il lockdown ha ridotto molto le esportazioni verso il Giappone e anche il mercato cinese ne ha risentito, seppure in maniera inferiore. Ciò nonostante, l'Asia rimane un obiettivo su cui punteremo molto nel prossimo futuro.

D. Torniamo in Europa. Qual è stato l'effetto della guerra in Ucraina sulle esportazioni del settore?

R. Questo è interessante, in Russia non abbiamo subito perdite a causa dell'attuale conflitto perché i nostri prodotti non sono presenti nel Paese già dalla guerra in Crimea del 2014, quando le contro sanzioni di Putin hanno chiuso il mercato all'Europa. Un vero peccato. I consumatori russi hanno sempre apprezzato il Made in Italy alimentare; la domanda era forte e il mercato cresceva, anche a tripla cifra. Poi da un giorno all'altro il settore si è bloccato, fatto salvo per una piccola categoria merceologica. Le conseguenze dell'embargo sono state tanto gravi da richiedere l'intervento dell'Unione europea con specifiche misure di sostegno. L'unica fortuna, se così si può definire, è che oggi da questo mercato non abbiamo perso nulla.

D. Vale lo stesso per l'Ucraina?

R. No, l'Ucraina era un segmento piccolo ma aveva un forte potenziale e con la guerra lo abbiamo perso.

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0808:57 ago 2022


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