MILANO (MF-DJ)--Da mesi si parla delle Central Bank Digital Currency (Cbdc), le monete elettroniche emesse dalle banche centrali come alternativa di contrasto allo sviluppo delle valute virtuali, in particolare del bitcoin. C'è chi sostiene infatti che «la risposta al proliferare di criptovalute private non può che essere il rapido lancio delle valute digitali direttamente emesse e garantite da banche centrali», come a dire che quando ci saranno le Cbdc i cittadini non avranno più interesse a utilizzare le criptovalute.

Ma è veramente così? La nascita delle criptovalute ha dato origine allo sviluppo di progetti privati come diem di Facebook (ex libra) o pubblici e governativi, sia in Asia, con lo yuan digitale, che in Occidente, come appunto il progetto dell'euro digitale (che comunque si concluderebbe soltanto tra cinque anni). Il tutto allo scopo di rendere possibili pagamenti e regolazioni internazionali più immediati, meno onerosi e governati in modo slegato dal dollaro statunitense, oltre che politiche monetarie più efficaci. Quello che però le banche centrali non sembrano comprendere è che il bitcoin non è nato per una questione di mera digitalizzazione. Il bitcoin, fondato sulla tecnologia dei registri distribuiti e su un algoritmo open-source, elementi che determinano la fiducia condivisa nel sistema utilizzato, è nato al fine di creare uno strumento di scambio di valore scarso non censurabile da parte di nessuna autorità «esterna». Sono pertanto noti a priori i meccanismi di generazione e scambio di moneta, compresa l'emissione limitata, onde preservare l'elemento della scarsità. L'algoritmo, inoltre, può essere modificato «democraticamente» qualora la maggioranza degli utilizzatori decida di farlo tramite le cosiddette Bip (Bitcoin improvement proposal), l'ultimo dei quali ha raggiunto da poco il consenso necessario per entrare a regime il prossimo novembre.

Del resto, Satoshi Nakamoto, lo sviluppatore che rilasciò il blocco originale dei primi bitcoin nel 2009, proprio in quel blocco lasciò un messaggio (riportante il titolo della prima pagina del Times, "_03/Gen/2009 Il cancelliere sull'orlo del secondo salvataggio delle banche_ ") che alludeva in modo chiaro alla vera ragione per cui nasceva la criptovaluta: non per una banale questione correlata alla domanda di moneta digitale, ma per fornire un'alternativa monetaria alle banche centrali, considerate inaffidabili. Un sistema che si contrappone al paradigma classico, quello basato su una Banca centrale che ultimamente «stampa» nella quantità, con la tempistica e con i tassi da lei stabiliti, diversi miliardi (di dollari per la Fed o di euro per la Bce) nella speranza di governare l'inflazione e indirizzare l'economia, sulla base dei propri meccanismi politici centrali e non di rado fallendo i propri obiettivi, come le numerose crisi di questi ultimi quindici anni hanno dimostrato. Ecco perché le Cbdc, comunque centralizzate, saranno utili e funzionali agli scopi delle banche centrali, ma non saranno la risposta alle valute virtuali. Ritengo invece che le banche centrali dovrebbero iniziare a ragionare per fornire una risposta su questi due vettori: «trasparenza» e «democraticità» della politica monetaria per poter vincere la sfida della concorrenza dei prossimi anni, quella tra le monete. Per fortuna all'estero qualcuno pare avere compreso la reale natura della questione. È il caso, per esempio, degli Stati Uniti, dove Eric Adams, candidato sindaco di New York per i Democratici ha dichiarato di voler lavorare affinché la Grande Mela diventi capitale mondiale del bitcoin. Ma novità arrivano anche dalla Germania, dove poche settimane fa è stata approvata una legge che permette ai «fondi speciali».

(Spezialfonds) di allocare fino al 20% del portafoglio in criptovalute. Il fenomeno non può essere fermato e tantomeno ci riusciranno le Cbdc, come pensa illusoriamente la Bce. Il fenomeno si deve prima accettare, poi governare. È il momento che anche altri Paesi europei, Bruxelles, Francoforte e sopratutto Roma se ne rendano conto per cogliere le opportunità di questa innovazione.

Di Davide Zanichelli, deputato M5s

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