MILANO (MF-DJ)--La via della seta è sempre più digitale e prevede investimenti in tutto quello che è connettività e scambio digitale. Può quindi catalizzare lo sviluppo globale, nell'ottica della cooperazione e della sostenibilità, e non di meno beneficiare le imprese italiane. Questo il messaggio principale della quarta edizione del forum Belt & Road Initiative, organizzato da Class Editori, con il focus sul rapporto tra Cina e Italia. «La nuova globalizzazione è la digitalizzazione» e il principale motore di questo cambiamento nel business è l'e-commerce che, a sua volta, «ha generato innovative modalità di pagamento» ha dichiarato Du Guochen della Chinese Academy of International Trade. Da un lato, il commercio digitale transfrontaliero elimina i confini e di conseguenza riduce i costi nella catena globale di approvvigionamento. L'e-commerce può quindi contribuire a migliorare i fatturati industriali, come dimostrano i dati sulle esportazioni delle imprese italiane, riportati da Luca Ferrari, ambasciatore italiano a Pechino: negli otto mesi dell'anno in corso il volume dell'export è cresciuto del 30% rispetto al 2020, arrivando a 13 milioni di euro pari a tutto il 2019 pre-pandemico. È dunque vincente la «strategia dell'internazionalizzazione delle pmi italiane, soprattutto verso la Cina che ha un bacino di circa 1,4 miliardi di possibili clienti» e con il maggior numero di utenti su internet (900 milioni). Dall'alto lato, la rivoluzione digitale passa per le innovazioni dell'e-payment, e in questo processo «lo scambio di buone prassi e di esperienze è centrale».

La banca centrale cinese ad esempio, ha già introdotto una normativa sulle cryptovalute per evitarne l'uso speculativo e immettendo nel mercato lo yuan digitale, regolamentato e centralizzato, disponibile, ad oggi, «in 28 territori e fruibile con l'app per il 10% della popolazione». La transizione digitale non è quindi per l'ambasciatore soltanto «un percorso ormai obbligato» ma una strada piena di opportunità. E la rinnovata via della seta, lanciata nel 2015, ne è una realizzazione importante. Prevede, infatti, un flusso di 11 mila miliardi di dollari per i Paesi che attraversa, entro il 2025, con l'obiettivo di «sfruttare il potenziale digitale tecnologico e poter condividerne così le opportunità». Queste le parole dell'Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia, Li Junhua, che ricorda la direzione di apertura scelta il mese scorso dalla plenaria del Partito, fondata sulla collaborazione con gli altri Paesi, necessaria per «dare maggiori vantaggi ai popoli coinvolti», come anche l'esperienza pandemica ha dimostrato. La collaborazione deve abbracciare soprattutto i settori controversi: la regolamentazione dei dati e della proprietà intellettuale, l'accesso e la fiscalità del mercato, come anche la salvaguardia dei dati «con fermezza, combattendo i leak e gli attacchi hacker senza però usare la sicurezza informatica per mascherare il protezionismo commerciale» ha ammonito Li Junhua. Entrando nello specifico del caso italiano, il nostro tessuto di piccole e medie imprese può trarre importanti benefici dalla digitalizzazione e dai rapporti bilaterali con la Cina. In primis, Zhai Kun della School of International Studies dell'Univesità di Pechino, ha sottolineato come il digitale «possa salvare le aziende italiane che nelle piccole città rischiano di scomparire». Sicuramente è conveniente per le pmi italiane investire nella seconda economia del mondo e il principale partner commerciale europeo (esclusi i servizi), destinato per giunta a crescere nei prossimi anni del 30% in diversi settori. Anche nei momenti, come quello che stiamo vivendo, di incertezza e rallentamento economico, perché non c'è dubbio per Carlo D'Andrea della Camera Europea, «che come l'800 è stato il secolo dell'Europa e il '900 degli Usa, questo è quello della Cina e dei Paesi asiatici». Eppure, «fare impresa lì non è facile, bisogna fare i compiti a casa» e studiare. La cultura è infatti «un vero e proprio asset tangibile e monetizzabile, capace di accrescere le performance di un'azienda che guarda all'internazionalizzazione in particolare verso la Cina», ha affermato Francesco Boggio Ferraris, della MF Academy. Nella pratica, le imprese devono, «restare costantemente aggiornati sui cambiamenti normativi e di mercato» altrimenti si rischiano impedimenti d'azione o multe salate. Servono, ha precisato Santiago Mazza della Retex, persone all'interno della società che si occupino solo dei rapporti e delle comunicazioni con la Cina, per giunta in lingua cinese. Non di meno, le imprese devono fare propria una visione a medio termine di almeno tre-quattro anni se voglio investire in Cina. E inoltre, è necessaria una vera e propria mediazione culturale, per approcciarsi ad una realtà così peculiare.

Innanzitutto «i cinesi si fidano dei cinesi» e in questo possono aiutare i key influencer leader, i nostri influencer, ma ovviamente anche tra questi, ha chiarito Mazza, serve una selezione consapevole e specializzata. Ma sussistono significative differenze anche tra le diverse province cinesi, come la Camera di Commercio italiana ha potuto constatare sul territorio. Le imprese italiane devono essere quindi accompagnate, come si impegna a fare Ice, nella strutturazione di una comunicazione adatta al target, con il visual marketing adatto e mettendo prodotti in vendita, in linea con la domanda cinese. Anche se «un po' in ritardo», come ha puntualizzato Michele Norsa di Ferragamo, tra i Cinesi si è diffusa anche la consapevolezza dell'importanza della sostenibilità. Tutte le imprese italiane, intervenute al forum, hanno recepito questo messaggio dalla pelletteria, all'automotive passando per le commodities. E soprattutto lo hanno interiorizzato nei propri progetti di investimento e ricerca sia il settore energetico che quello siderurgico. Matteo Tanteri, ceo Snam China, ha dichiarato che il governo cinese sta iniziando a fare controlli, il che «significa che le cose si faranno» e si apriranno ulteriori spazi per le eccellenze italiane della transizione ecologica. Nel breve periodo, la Cina raddoppierà l'uso di gas, e qui giocherà un ruolo lo stoccaggio italiano. Aumenteranno gli investimenti in rinnovabili e qui subentreranno alcune componenti italiane.

Infine la potenza asiatica si impegnerà nel migliorare i processi produttivi dei settori energivori di carta, vetro e acciaio. Sull'evoluzione di quest'ultimo comparto in Cina si è soffermata Anna Mareschi Danieli del Danieli Group. Per ridurre le emissioni entro i limiti prestabiliti, è previsto un massimo intervento sulla siderurgia cinese che rappresenta il 17% delle emissioni di Co2 del Paese. Nello specifico, si opererà per eliminare o almeno ridurre al minimo le esportazioni di acciaio, per riciclare maggiormente l'acciaio e per investire in energie diverse in primis l'idrogeno (acciaio ad oggi da combustibili fossili al 20%). Per davvero puntare alle emissioni zero, secondo Tanteri, sarà però fondamentale una tecnologia di cattura della Co2. Tutti i richiamati investimenti sul digitale non devono eliminare certo i flussi di capitale nella via della seta tradizionale ossia fisica. Bisogna, anzi, trovare «il sapiente equilibrio tra l'online e l'offline» ha commentato Mario Boselli, presidente della Fondazione Italia-Cina. L'integrazione tra nuove tecnologie e infrastrutture fisiche è incarnata, tra gli altri, dall'Utlc Era. I corridoi ferroviari da e verso la Cina non solo riducono le distanze, con medie di viaggio tra volte inferiori alle navi ma sono anche più green: il ceo Alexey Grom ha riportato come esempio il tratto ferroviario Cina-Verona che produce 10 volte di Co2 in meno rispetto agli alternativi mezzi di trasporto.

red

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0608:58 dic 2021

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December 06, 2021 02:59 ET (07:59 GMT)