Lo Stato finlandese controlla ancora il 56% del capitale e i ripetuti appelli al suo ritiro negli ultimi dieci anni sono rimasti lettera morta. Di conseguenza, tutti i tentativi di Finnair di promuovere una partnership — o addirittura un’acquisizione tout court — sono caduti nel vuoto.

Questa configurazione disarma la compagnia aerea dinanzi alla concorrenza low-cost intra-continentale, come Ryanair, e a quella intercontinentale di operatori più grandi come Air France e Lufthansa.

Da tempo il management avverte che questo modello "outsider" è insostenibile. Nel 2020 e nel 2022, i due eventi inaspettati della pandemia e della guerra in Ucraina hanno confermato questi avvertimenti.

Dopo l'inverno nucleare del Covid, la chiusura dello spazio aereo russo è infatti costata a Finnair il 10% del suo fatturato nel primo anno. Ciò ha fatto sì che il mese scorso sia dovuta ricorrere a un rifinanziamento d'emergenza di 600 milioni di dollari attraverso un'emissione di diritti.

Interamente sottoscritto dagli azionisti — con lo Stato finlandese in prima fila — questo rifinanziamento ha comportato una massiccia emissione di nuove azioni al prezzo di 0,03 euro per azione. L'impatto diluitivo è stato quindi brutale.

Finnair è riuscita a tirare avanti fino al 2019. Proprio come nei gruppi in cui lo Stato azionista mantiene un ruolo strategico, l'enfasi è stata posta sulla distribuzione dei dividendi senza necessariamente pensare a risanare la struttura finanziaria, che tuttavia stava diventando pericolosamente fragile.

Il rifinanziamento del mese scorso dovrebbe contribuire a rilanciare la distribuzione dei dividendi. La dirigenza sta inoltre avviando un piano di ristrutturazione volto a raggiungere un margine operativo del 6% entro il 2025.

Si tratta di un obiettivo certamente ambizioso. Negli ultimi quindici anni, la soglia del 6% di margine operativo è stata raggiunta solo due volte. Questo spiega senza dubbio perché Finnair è la compagnia aerea meno valutata d'Europa.