MILANO (MF-DJ)--Nel suo studio sono passate alcune delle operazioni che hanno dato forma al sistema bancario italiano. Dalla fusione di Banca Intesa con il Sanpaolo di Torino al salvataggio delle banche venete fino all'offerta pubblica su Ubi che quest'anno, in barba al Covid, ha riaperto le danze del risiko. Proprio quel deal, secondo l'avvocato Carlo Pedersoli, lancia oggi un messaggio chiaro al credito tricolore: le sfide in arrivo impongono al settore un improcrastinabile salto dimensionale che dovrà vincere il richiamo del campanile e dei localismi.

Domanda. Pedersoli, che effetti sta avendo la pandemia sul sistema bancario italiano?

Risposta. Per le banche vedo due problemi molto seri all'orizzonte: il deterioramento del portafoglio crediti e le criticità legate al finanziamento di imprese che sempre più saranno in difficoltà. Queste criticità sono principalmente l'effetto del calo verticale dei consumi e della conseguente caduta della produzione. Solo un forte sostegno alla ripartenza dell'economia potrebbe scongiurare un pericoloso avvitamento ma da parte dello Stato dovrebbe essere fatto di più e questo mi preoccupa.

D. Il consolidamento sarà una delle risposte?

R. Assolutamente sì. La piccola banca non è in grado di fronteggiare le crisi attuali, soprattutto quelle che investono l'economia di base. Inoltre non ha le risorse per accompagnare le aziende in un improcrastinabile percorso di crescita e di consolidamento. Come le banche infatti anche le imprese dovranno fare un salto dimensionale e avranno bisogno del sostegno di intermediari dalle spalle larghe. Il consolidamento da solo però non basta. Le banche devono capire quale sarà il business di domani. Pagamenti? Wealth management? Mi pare che solo poche realtà in Italia stiano affrontando il problema mentre altre, forse troppe, sono ancora legate ai vecchi paradigmi. Oltretutto è un tema di offerta ai risparmiatori che hanno bisogno di prodotti che proteggano i loro risparmi per non lasciare i soldi immobilizzati nei conti correnti.

D. Rispetto ai precedenti round di fusioni che elementi di tipicità coglie oggi?

R. In passato e fino al 2006-2007 dominava un approccio negoziato e inclusivo di molteplici interessi. Quello del resto era un mondo che poteva permettersi di dedicare grande attenzione al territorio e alle istanze locali. Oggi, piaccia o non piaccia, un approccio del genere non sarebbe più molto realistico. Poi c'è stata una lunga fase di m&a di emergenza, dal salvataggio delle good banks a quello delle due banche venete. Ma poi c'è stata l'operazione Ubi.

D. Eppure anche nell'operazione Ubi le istanze del campanile sono state forti. A suo modo di vedere oggi quelle istanze sono un ostacolo o una risorsa per il settore bancario?

R. Personalmente sono un difensore della vicinanza delle banche al territorio. Ma questa vicinanza può essere davvero garantita solo da una struttura grande e forte. La controprova ci viene dai problemi incontrati in questi anni da tante piccole banche la cui capacità di servire al meglio il territorio è stata insufficiente.

D. Quella di Intesa su Ubi è stata la prima offerta pubblica non concordata nel sistema bancario italiano dopo decenni. Come mai quella scelta?

R. Intesa Sanpaolo non ha voluto perdere tempo. Le operazioni negoziate possono assorbire molto tempo per assecondare i molteplici interessi portati al tavolo negoziale, e oggi la situazione non consente di restare impantanati in trattative defatiganti. Con Ubi invece si è concluso tutto in sei mesi, con successo, mantenendo intatta l'impostazione iniziale. La velocità del processo è stata per noi un notevole elemento di soddisfazione. Con questo non voglio dire che le offerte pubbliche siano la panacea di tutti i mali, ma certamente rispondono alle esigenze del mercato.

D. Prima di Ubi, lei ha lavorato al salvataggio delle banche venete sempre da parte di Intesa. Pensa che oggi una soluzione del genere sarebbe auspicabile per Mps?

R. Non so se ci sia la volontà politica per metterlo in atto ma, dal punto di vista puramente tecnico, il deal è fattibile e presenta anche un vantaggio rispetto a quello delle banche venete, perché oggi sulla situazione di Mps c'è una visibilità assai maggiore di quella che nel 2017 si aveva sui numeri di Popolare di Vicenza e Veneto Banca su cui non si è potuta fare due diligence. L'istituto senese è stato gestito negli ultimi anni in ottica di risanamento e non dovrebbero esserci salti nel vuoto. Noi invece abbiamo avuto circa 72 ore per mettere in sicurezza le due venete, con un'operazione al buio. Abbiamo avuto la soddisfazione che la struttura contrattuale e normativa ci ha dato, mi passi il termine, le maniglie cui aggrapparsi in caso di brutte sorprese.

D. Lei parla di volontà politica. In effetti a Roma qualcuno vagheggia un ritorno dello Stato banchiere. Le sembra un auspicio condivisibile?

R. Sicuramente no. Lo Stato non deve essere azionista delle banche, ma deve esercitare una pura funzione di controllo a tutela del mercato. Credo che sia molto utile il golden power: prima di consentire agli stranieri di entrare in Italia bisognerebbe favorire la formazione di campioni nazionali e con vocazione internazionale. Occorrerebbe aumentare il presidio per prevenire le crisi e i frequenti episodi di mala gestio a cui abbiamo assistito in questi anni. Lo Stato deve solo sostenere l'economia, così anche il sistema bancario lavora al meglio.

D. Quali sono state le operazioni straordinarie più complesse che ha gestito nella sua carriera?

R. Sicuramente proprio le ultime due. Ubi per il contesto: si è trattato di un'offerta di scambio non concordata nel mezzo di una pandemia. Averla fatta nei tempi previsti, con successo e senza incidenti di percorso, è stato un motivo di orgoglio. Il salvataggio delle banche venete d'altra parte ci ha dato soddisfazione perché si è trattato di un'operazione complicatissima fatta in pochi giorni e, ripeto, al buio. Nessun deal del passato ha raggiunto il livello di criticità di questi due. Anche perché, come le dicevo, buona parte delle aggregazioni erano amichevoli, a partire da quella tra Intesa e il Sanpaolo, seppur progettata nel 2006 in poche settimane.

D. Lei ha assistito alla trasformazione del sistema bancario italiano. Quali sono stati a suo parere gli snodi e le figure più importanti?

R. Cito tre episodi: il salvataggio del Banco Ambrosiano nel 1982 con la regia di Giovanni Bazoli, Carlo Azeglio Ciampi e Beniamino Andreatta. La legge Amato del 1990 che ha dato vita a soggetti fondamentali per l'evoluzione del settore come le fondazioni bancarie di cui Giuseppe Guzzetti è stato il più autorevole rappresentante. E infine, in tempi più recenti, la legge di riforma delle popolari del 2015 che, trasformandole in società per azioni, le ha modernizzate per rispondere alle esigenze del mercato, senza abbandonare l'attenzione al territorio. Ma la storia del sistema bancario è stata fatta anche dai tanti manager che hanno saputo tirarsi su le maniche e lavorare in prima persona per far crescere i loro istituti. Ne ho conosciuti molti e a loro mi lega un sincero rapporto di stima.

fch

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December 28, 2020 02:37 ET (07:37 GMT)