ROMA (MF-DJ)--C'è fermento nel mondo della torrefazione italiana: un nuovo dossier che potrebbe presto animare il comparto. Secondo quanto appreso da MF-Milano Finanza, la famiglia Rubino starebbe prendendo in considerazione la possibilità di aprire il capitale del gruppo Kimbo, storica realtà della produzione del caffé con sede a Melito di Napoli e nota per i brand Kimbo, Kosé, Caffè Karalis, La Tazza d'oro.

Stando a quanto circola nelle sale operative, sembrerebbe che una parte della famiglia azionista (eredi dei fondatori Francesco, Gerardo ed Elio Rubino) starebbe valutando da mesi l'ipotesi di vendere le proprie quote. Una decisione ufficiale, però, non sarebbe ancora stata presa.

La scelta in sé può non stupire, se si tiene presente che recentemente anche altri gruppi del settore hanno aperto il capitale a nuovi soci per ottenere nuove risorse da usare per lo sviluppo della società. In questo caso, però, le ragioni potrebbero essere diverse dalla classica vendita di una quota di minoranza per finanziarsi. Due infatti potrebbero essere le motivazioni.

Da un lato, alcuni operatori del comparto sostengono che la scelta degli azionisti di Kimbo è da collegarsi alle recenti difficoltà registrate dal gruppo nella gestione operativa. Interpretazioni che al momento restano voci, ma che trovano riscontro in un episodio avvenuto a fine settembre quando nello stabilimento produttivo a Melito di Napoli fu indetto un presidio organizzato dai lavoratori (dopo tre giorni di stop proclamati dalla Flai Cgil) preoccupati per il futuro della fabbrica dove lavorano 250 persone. La preoccupazione era collegata alla mancata approvazione del bilancio 2021 (attualmente non ancora licenziato) suscitando così dubbi sui livelli di investimenti nel sito, sul suo sviluppo e sui livelli occupazionali. In quell'occasione, Kimbo aveva diramato una nota sottolineando come le sigle sindacali siano state messe «al corrente, più e più volte, delle reali ragioni che ancora a oggi non hanno portato all'approvazione del bilancio», parlando poi di «rappresentazione di una realtà distorta». Al contempo, però, il gruppo del caffé aveva anche dichiarato che «gli stessi sindacati sanno perfettamente che l'amministratore delegato (Roberto Grasso, ndr), internamente supportato, lavora da mesi alacremente alla ricerca di soluzioni che garantiscano la continuità aziendale e l'assoluto mantenimento dei livelli occupazionali».

Quanto alla seconda motivazione, questa potrebbe riguardare discussioni non risolte tra alcuni membri della famiglia sulle strategie da seguire per far riprendere la società dopo anni di sofferenza del business legati al Covid. Già nel 2011, seppur in un contesto parzialmente diverso, si era aperta la possibilità che sul mercato finisse circa un 30% del gruppo del caffé che faceva capo ad alcuni esponenti della famiglia Rubino fra cui non c'era unanimità sulle visioni strategiche per il gruppo.Detto questo, è possibile che nelle prossime settimane la situazione possa farsi più chiara e che nuovi elementi possano delinearsi per il gruppo che ha chiuso il 2020 con un utile di 3,16 milioni, un ebitda di 11,4 milioni e ricavi in calo a 155,6 milioni.

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1008:44 gen 2023


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January 10, 2023 02:44 ET (07:44 GMT)