MILANO (awp/ats/ans) - La Procura di Milano ha chiuso una inchiesta che per la prima volta affronta il tema del peso finanziario e fiscale dei dati degli utenti sui social, con profili su Facebook e su Instagram.
E' di oggi la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini sul caso Meta nel quale si ipotizzam nei confronti dei due legali rappresentati della costola irlandese del colosso fondato da Mark Zuckerbergm l'omessa dichiarazione e mancato pagamento tra il 2015 e il 2021 dell'Iva per un totale di oltre 877 milioni di euro. Una cifra rilevante che non è stata versata al Fisco, secondo la ricostruzione dei pm Giovanna Cavalleri, Giovanni Polizzi, Cristian Barilli, titolari del fascicolo a carico di Gareth Lambe e di Maria Begona Fallon Farrugia: i due "Director", il primo dal 2015 al 2018 e l'altra dal 2019 al 2021. "Siamo fortemente in disaccorso" è il commento di Meta.
In base agli accertamenti - inizialmente disposti dalla Procura Europea e poi, per una questione di competenza, coordinati dai pubblici ministeri milanesi e affidati, nel 2023, al Nucleo di Polizia Economico Finanziario della Gdf in collaborazione con l'Agenzia delle Entrate - Meta Platforms Ireland Limited, già Facebook Ireland Ltd, attraverso i due canali social, avrebbe offerto "servizi digitali agli utenti" italiani "in cambio dell'acquisizione e gestione per fini commerciali dei dati personali" di ciascuno e "delle informazioni inerenti relative interazioni sulle piattaforme". In sostanza, si ritiene ci sia una permuta tra beni differenti e che, in quanto tale, debba essere soggetta all'Iva e quindi vada tassata. Invece i rappresentanti di Meta, per "evadere l'imposta", non avrebbero presentato "le dichiarazioni relative" a sette anni. A riprova di ciò, nel capo di imputazione, vengono valorizzate due tabelle, tra cui uno "schema di sintesi" che spiega come "il valore economico dei servizi digitali offerti dalla società" va individuato in funzione "delle spese sostenute dal soggetto passivo per l'esecuzione dei servizi" stessi. Nella prima tabella viene indicato, ad esempio, che solo nel 2021 Meta ha realizzato oltre 1 miliardo di euro di ricavi in Italia. E che su una base imponibile di quasi 4 miliardi di euro, tra 2015 e 2021, l'imposta sul valore aggiunto (il 22%) evasa in totale è di oltre 877 milioni. Inoltre si evince che la presunta frode è passata dagli oltre 48 milioni di euro del 2015 agli oltre 221 milioni del 2021.
Come ha sottolineato il procuratore Marcello Viola in una nota, "la natura non gratuita dei servizi offerti" - nodo centrale dell'indagine - negli anni passati è "già stata affermata dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dal Tar del Lazio, oltre che da autorevole dottrina, e ha trovato riscontro nelle attività ispettive della Guardia di Finanza, negli atti dell'Agenzia delle Entrate e infine nelle risultanze dell'indagine penale". Non è così per il network americano. "Siamo fortemente in disaccordo con l'idea che l'accesso da parte degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell'Iva", ha spiegato un portavoce. "Abbiamo collaborato pienamente con le autorità - ha aggiunto - rispetto ai nostri obblighi derivanti dalla legislazione europea e nazionale e continueremo a farlo. Prendiamo sul serio i nostri obblighi fiscali e paghiamo tutte le imposte richieste in ciascuno dei Paesi in cui operiamo".