ROMA (MF-DJ)--Qualche manager di Nexi, colto alla sprovvista, si è spinto a definirla uno sgarbo istituzionale. A ben vedere però l'uscita di Intesa Sanpaolo dal capitale del gruppo milanese di pagamenti è una razionale scelta di ottimizzazione del capitale: la partecipazione (diluitasi dal 9,9% del 2019 al 5,1% di quest' anno) immobilizzava risorse che potranno ora essere indirizzate verso altre opportunità di investimento o semplicemente verso l'ulteriore rafforzamento dei coefficienti patrimoniali. Eppure, scrive MF-Milano Finanza, la decisione della banca guidata da Carlo Messina (con cui resta in piedi l'accordo commerciale) ha sorpreso il mercato che non si aspettava una exit in tempi così rapidi. Anzi, in una public company con elevato ricambio degli azionisti, la Ca' de Sass insieme a Cdp (oggi al 13,6%) era percepita come un socio di lungo periodo capace di bilanciare la volatilità del titolo. Sui corsi borsistici di questo tipo di società incide infatti quello che gli analisti chiamano overhang, il rischio cioè che grossi quantitativi di azioni possano finire sul mercato, incidendo negativamente sul prezzo. Questo però è proprio quanto accaduto con l'uscita di Intesa, che ha fatto cadere il titolo del 10%.

Per gli azionisti rimasti una doccia gelata, che va ad aggiungersi a 15 mesi avari di soddisfazioni sul fronte borsistico. Dal luglio del 2021 ad oggi il titolo Nexi ha perso infatti oltre metà del valore, portandosi molto lontano dal massimo storico di 19 euro. Visto che salvo qualche correzione dall'ipo alla metà del 2021 il prezzo era costantemente cresciuto, molti soci si sono chiesti le ragioni di questa inversione di tendenza. In primo luogo il rallentamento di Nexi va contestualizzato all'interno del settore paytech. Solo per fare qualche esempio nello stesso periodo le azioni del provider americano di servizi finanziari Fis hanno perso quasi il 60%, mentre Paypal è franata del 72% e Square del 75%. In Europa invece la paytech Adyen ha lasciato sul terreno il 44% e Wordline ha bruciato il 47%.

L'intero settore ha insomma tirato bruscamente il freno dopo un rally che aveva spinto qualche osservatore a parlare di bolla. Ragioni congiunturali (politica monetaria espansiva), industriali (la spinta all'outsourcing delle divisioni acquiring delle banche) e tecnologiche (la progressiva ritirata del contante) avevano messo il turbo agli operatori, favoriti anche dal boom dei pagamenti digitali avvenuto nel corso della pandemia. La crescita ha stimolato molte operazioni di m&a, sia negli Usa che in Europa: Total System Services in Global Payments, Worldpay in Fidelity National Information Services, First Data in Fiserv, Ingenico in Worldline, Sia e Nets in Nexi.

A metà del 2021 però il contesto è cambiato, soprattutto per la brusca inversione di tendenza delle banche centrali. Considerato l'alto livello di leva di molti operatori, l'aumento dei tassi ha fatto precipitare le valutazioni borsistiche che non si sono più riprese. Ci sono poi considerazioni di lungo periodo su cui qualche investitore ha iniziato a interrogarsi: finora la tecnologia ha favorito le infrastrutture di pagamento gestite da operatori come Nexi, ma sarà così anche in futuro? Sebbene gran parte delle transazioni (comprese quelle contactless) oggi siano basate sui circuiti convenzionali, una minaccia viene dalle fintech, che con servizi come i bonifici istantanei possono disintermediare i grandi provider. Questi nuovi soggetti sono insomma in grado di conquistare crescenti quote di mercato, anche se per il momento il loro peso specifico rimane ridotto.

C'è poi il fardello del debito. Se una leva elevata è un tratto distintivo del settore, specie in presenza di private equity, nel caso di Nexi alla fine del terzo trimestre il multiplo debito finanziario netto/ebitda si attestava a 3,3 volte con un'esposizione di 5,2 miliardi.

Sullo stock hanno pesato diversi fattori, da ultimo le operazioni straordinarie che il gruppo ha fatto negli anni scorsi con Sia e Nets. È chiaro che, in una fase di tassi in ascesa e di rallentamento economico, la leva è guardata con grande attenzione dal mercato e viene prezzata nel titolo. Diversi analisti sono però convinti che la struttura finanziaria del gruppo sia sostenibile. Non solo infatti il debito è a medio/lungo termine (la prima scadenza da 480 milioni arriverà solo nel 2024), ma ben circa i tre/quarti dello stock è a tasso fisso. Si fa poi notare che la copertura del costo del debito da parte dell'ebitda sarà l'anno prossimo a un valore di più di otto volte. La marginalità del resto rimane il punto forte di Nexi, come hanno riconosciuto molti analisti dopo i conti del terzo trimestre: "I risultati del terzo trimestre sono stati leggermente al di sopra delle aspettative con ricavi ed ebitda cresciuti rispettivamente dell'1% e del 2% sopra le nostre stime e quelle di consensus", spiega Mediobanca. Giudizio condiviso anche da Banca Akros che ha posto l'accendo soprattutto sulla crescita dell'ebitda, mentre per Intermonte "Nexi è ben posizionata in mercati attrattivi, con una crescita dei ricavi supportata dalla transizione secolare dal contante al digitale".

Per Equita "L`Europa rimane un mercato interessante per operatori con una forte presenza locale come Nexi, il cui mercato aggredibile in termini di spesa dei consumatori vale 4,5 miliardi di euro, con una penetrazione dei pagamenti digitali ancora bassa, pari al 36%". Oltre che grazie alla marginalità, il titolo Nexi potrebbe recuperare terreno anche per un'altra ragione: la campagna di acquisizioni potrebbe non essere finita. Nonostante i deal degli anni scorsi e la posizione di predominanza assunta ormai sul mercato italiano, Nexi starebbe già guardando ad altri dossier dai pagamenti del Banco Sabadel al merchant acquiring di Banco Bpm. E c'è chi specula su possibili incursioni nel mercato tedesco e americano.

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2109:16 nov 2022


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