ROMA (MF-DJ)--L'anno scorso Carlos Tavares si è recato per due volte in visita ufficiale in India. Lo spazio ritagliato nell'agenda dal manager testimonia il ruolo cruciale nei piani di Stellantis, che ha investito nel paese oltre un miliardo di euro.

Il gruppo nato dalla fusione fra Fiat-Chrysler e Peugeot non è il solo a cercare spazio nel subcontinente. Secondo indiscrezioni, anche Renault sta valutando di avviare in India la produzione di veicoli elettrici destinati al mercato di massa. Al recente salone di New Delhi hanno poi sfilato molti costruttori stranieri: la giapponese Suzuki, la sudcoreana Hyundai, le cinesi Byd e Saic. Perché tante case stanno facendo rotta per l'India? S&P ha appena certificato che il paese è diventato il terzo mercato al mondo per la vendita di auto. Nel 2022 le immatricolazioni hanno superato le 4,2 milioni di unità, con una crescita del 22% che ha consentito il sorpasso sul Giappone.

Stati Uniti e Cina restano molto lontane per volumi assoluti, ma l'India pare offrire le migliori prospettive di crescita, specie nell'elettrico. Oggi le vendite di vetture a batteria rappresentano meno dell'1% del totale, ma il governo di Narendra Modi ha fissato l'obiettivo di raggiungere una quota di mercato del 30% entro il 2030. E ha approvato sussidi all'acquisto e incentivi alla produzione locale di veicoli elettrici. Tanto non è però sufficiente a spiegare il ritrovato fascino dell'India agli occhi dei costruttori. Già in passato, del resto, alcuni gruppi occidentali hanno tentato di sfondare nel mercato locale, salvo trovarsi costretti a precipitose retromarce. Nel 2021, per esempio, Ford ha deciso di accollarsi 2 miliardi di dollari di extra-costi pur di chiudere tutti gli stabilimenti nel paese ed evitare ulteriori perdite. Va detto infatti che il subcontinente è stato spesso incline al protezionismo e i suoi consumatori sono tradizionalmente poco attratti dai modelli di alta gamma, da cui le case europee e statunitensi traggono i maggiori profitti.

Gli investimenti di Stellantis, Suzuki e Renault nelle fabbriche indiane hanno dunque un altro movente, forse preponderante: le esportazioni. Tavares lo ha detto chiaramente nel corso dell'ultimo viaggio nella città di Chennai, nell'India meridionale. «Finora, l'Europa non è stata in grado di produrre veicoli elettrici a prezzi accessibili», ha rimarcato il manager portoghese. «La grande opportunità per l'India sarebbe quella di vendere auto compatte elettriche a un prezzo accessibile: questo è ciò a cui stiamo lavorando, ma non è ancora deciso». Analoghi ragionamenti sarebbero dietro anche alla scelta di Renault di avviare l'assemblaggio di utilitarie elettriche nel paese.

Nelle strategie di alcuni costruttori, insomma, l'India potrebbe diventare un polo produttivo per auto elettriche a basso costo da esportare in tutto il mondo. E così prendere il posto della Cina che, complici il declino demografico e le tensioni geopolitiche, non pare poter né voler più svolgere il ruolo di fabbrica globale. Anzi, Pechino e i suoi nuovi costruttori (Geely, Byd, Nio) sono pronti a muovere concorrenza spietata ai costruttori occidentali nel mercato dell'auto elettrica.

Di recente, l'allarme è stato ribadito da Patrick Koller, il numero uno di Forvia, fra i principali fornitori di componenti auto per Stellantis e altre case occidentali. L'amministratore delegato della società nata dall'aggregazione fra la francese Faurecia e la tedesca Hella ha calcolato che la produzione di un'auto elettrica in Cina richieda 10 mila euro in meno che in Europa a causa dei minori costi per energia, manodopera, ricerca e sviluppo. I dati di Jato Dynamics lo confermano. Secondo la società di consulenza, il prezzo medio delle auto elettriche è salito in Ue da 48.942 a 55.821 euro fra 2015 e 2022 e negli Stati Uniti da 53.038 a 63.864; in Cina è sceso a 31.829 da 66.819 euro, al di sotto dei modelli alimentati a benzina.

Un divario competitivo che alla lunga e a meno di correttivi potrebbe spingere le case occidentali fuori dal mercato di massa. Da qui la ricerca di un'alternativa in India che, con Vietnam e Indonesia, appare la candidata ideale a soppiantare la Cina. Il vantaggio di Pechino nella transizione elettrica non dipende però soltanto dai minori costi di produzione, ma anche e soprattutto dalla disponibilità di materie prime e da una filiera d'avanguardia. Secondo un'analisi di Goldman Sachs, la Cina controlla il 70% della produzione di batterie per auto e detiene riserve rilevanti di metalli e terre rare, direttamente o tramite partecipazioni azionarie in compagnie minerarie straniere. Inoltre domina i processi la trasformazione di questi materiali in componenti di base per batterie, con quote di mercato del 77% nei catodi e dell'87% negli anodi. La strada verso Nuova Delhi è più in salita di quanto i piani di Stellantis & co lascino immaginare.

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1609:07 gen 2023


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January 16, 2023 03:08 ET (08:08 GMT)