Un tale pessimismo sembra ingiustificato poiché il Paese conta produttori tra i più redditizi e meglio gestiti al mondo, alcuni con dei costi di estrazione notevolmente bassi e un'aderenza esemplare ai più rigidi criteri ESG. Si pensi, ad esempio, a Tourmaline, un piccolo produttore di gas naturale già presentato in questa rubrica qualche mese fa, o a gruppi più grandi come Canadian National Resources o a una major ben integrata come Suncor, di cui si parlerà in questo articolo.

Grafico Suncor Energy Inc.

Nonostante la sua imprevedibilità, nonostante una pandemia che sembra non finire e un allentamento delle restrizioni sulla produzione tra i Paesi OPEC+, il prezzo del barile resta stabilmente al di sopra della soglia dei 60 dollari. Gli investimenti di produzione che sono contenuti da sette anni, insieme a livelli di scorte preoccupanti, fanno temere un’inflazione incontrollata dell’oro nero.

In effetti, per quanto i giornali promettano la fine del petrolio, la sua domanda resta comunque a livelli record su tutto il continente. È vero che il mito del “picco del petrolio” ritorna periodicamente sulle prime pagine da decenni, ma sembra che non abbia nulla da invidiare al mito del “picco del carbone”, poiché anche la domanda di carbone flirta con i suoi più alti storici.

Coloro che pensano che il petrolio durerà – difficile dar loro torto, vista la nostra civilizzazione – e che resterà una significativa fonte di energia nei prossimi decenni, se non vogliono rischiare il loro capitale in piccoli produttori con situazioni finanziarie precarie e dalle riserve limitate, potrebbero quindi interessarsi a Suncor. La major canadese offre sicuramente un potenziale minimo di guadagno ma anche un’attività altamente resiliente e un margine di sicurezza considerevole nella sua attuale valorizzazione.

Con il suo bilancio “fortezza” e il modello di business perfettamente integrato – dalla produzione alla raffinazione, trasporto, stoccaggio e distribuzione – il gruppo dispone di una infrastruttura colossale, unica e inimitabile in America del Nord. Tra le sue migliori attività troviamo i siti di produzione di Syncrude (specializzata nei sintetici) e di Fort Hill, raffinerie capaci di trattare 380.000 barili al giorno, gli enormi serbatoi dell’Ovest del Canada e la rete di stazioni di servizio Pétro-Canada.

A livello di produzione (segmento upstream) Suncor può produrre, a partire dalle sue sabbie bituminose, circa 800.000 barili al giorno, vale a dire circa l’1% della produzione mondiale. Questi giacimenti sono caratterizzati da riserve pletoriche – a volumi comparabili a 30 anni di produzione – e un costo di estrazione molto basso. Gli inconvenienti sono i colossali investimenti di sviluppo iniziali – ma quelli di Suncor sono ammortizzati da diverso tempo – e la necessità di possedere l’infrastruttura di trasporto e raffinazione adeguata.

Ovviamente, come dicevamo, la situazione del gruppo canadese si spiega grazie alla sua rete di infrastrutture integrate realizzate e continuamente perfezionate nel corso degli ultimi trent’anni. Il gruppo garantisce un buon utilizzo delle attività – un parametro critico quando si gestisce una raffineria all’avanguardia – e permette la realizzazione di importanti economie di scala.

Con le sue attività concentrate nella giurisdizione più sicura del mondo, Suncor conserva così un costo di produzione inferiore ai 30 dollari al barile e assicura di poter avere i conti in equilibrio con un barile a 35 dollari (WTI).

Da notare l’acquisizione “opportunista” del produttore Canadian Oil Sands effettuata cinque anni fa dal precedente management, in pieno crollo del prezzo del barile, esattamente nel punto più basso, quando girava intorno ai 30 dollari. Con una produzione in aumento, giacimenti ben sviluppati e investimenti ridotti alla semplice manutenzione, tale acquisizione dovrebbe contribuire a dopare in modo significativo i cash-flow nei prossimi decenni.

Questi sviluppi conducono il management ad anticipare un cash flow – più precisamente un “Funds from Operations”, ma la differenza tra i due è irrilevante – di 35 miliardi di dollari cumulati sul periodo 2021 – 2025, vale a dire sui cinque anni a venire. Con gli investimenti lordi ormai chiusi, è tempo del ritorno sul capitale agli azionisti: con uno scenario di base di 55 dollari al barile (WTI), Suncor dovrebbe avere un ritorno di 21 dollari per azione entro il 2025: 8 dollari in dividendi, 7 dollari in riacquisto di azioni e 6 dollari in riduzione dei debiti.

21 dollari per azione in ritorno agli azionisti per un prezzo per azione pari a… 23 dollari, vale a dire un ritorno sull'investimento decisamente allettante sulla carta, a condizione che il barile si mantenga al di sopra dei 55 dollari statunitensi e che nessun incidente rilevante faccia inceppare il meccanismo ben oliato.

Sull’esempio di altre major, Suncor sviluppa anche delle capacità di produzione di energia “propria”, tra le quali uno dei più grandi progetti eolici in America del Nord. Per quanto insignificanti nel fatturato consolidato – quasi totalmente dipendente dagli idrocarburi – questi progetti dovrebbero consentire dei ritorni sugli investimenti superiori alla media grazie alla loro scala e alla loro ubicazione al confine tra il Canada e gli Stati Uniti.

Ciliegina sulla torta: Suncor riacquista le sue azioni e gli stessi quadri dell’impresa sono ardenti acquirenti di titoli al prezzo del momento. Ne sono la prova gli acquisti degli addetti ai lavori che si moltiplicano. Ad ogni modo, ricordiamo che esistono diversi rischi: problemi agli impianti produttivi, come quelli avvenuti troppo spesso in Suncor negli ultimi anni, per esempio l’incendio a Fort Hill dell’anno scorso; nuovo crollo del prezzo del petrolio e il rischio che, paralizzati dai vincoli ESG, i grandi fondi continuano a snobbare il settore.

Suncor si presenta nella parte alta della classifica tra le selezioni quantitative di MarketScreener, sezione imprese non quotate.