MILANO (MF-DJ)--Il consolidamento bancario è oggi uno dei temi al centro del dibattito finanziario italiano anche se, dopo lo stop delle trattative tra Tesoro e Unicredit su Mps, non si prevedono novità in tempi brevi. Per Roberto Nicastro comunque il mercato sta prestando un'attenzione eccessiva al tema. Il banchiere ex Unicredit, che dal 2020 è diventato startupper con l'istituto digitale Aidexa, vede infatti una priorità molto più urgente delle fusioni: la corsa alla digitalizzazione.

Domanda. Nicastro, il ceo di Intesa Sanpaolo Carlo Messina ha definito questa fase un'occasione unica per l'Italia. Lei come valuta la congiuntura attuale?

Risposta. La combinazione di Recovery Plan, strategia vaccinale e rilancio dell'immagine dell'Italia all'estero mi rende molto fiducioso, pur in un quadro macroeconomico che presenta ancora elementi d'incertezza. Pensiamo solo al Recovery Plan: dopo 30 anni di avanzo primario positivo e quindi di impossibilità a investire, l'Italia oggi dispone di una cifra molto importante e si è data obiettivi strategici assolutamente condivisibili.

D. Che implicazioni ha questo quadro per il mondo bancario, sia per gli intermediari tradizionali sia per i nuovi player?

R. In questa fase si tratta di servire un'economia e una clientela più dinamici che in passato. Clienti che hanno voglia di investire e possibilità di aumentare i fatturati. In aggiunta, oggi i consumatori approcciano tutti i servizi, incluso quello bancario, con una disponibilità maggiore a fruirne in maniera digitale. Un esempio molto efficace viene dall'uso del video come strumento di comunicazione. Prima della pandemia questa modalità veniva usata solo in contesti informali, ma negli ultimi due anni gli impieghi in ambito professionale sono cresciuti esponenzialmente. Per un business di servizi come quello bancario l'impatto è enorme.

D. Ci spieghi meglio.

R. È molto semplice. Sappiamo che la qualità della relazione passa attraverso il vedersi in faccia. In passato per farlo il cliente bancario doveva investire qualche ora per andare in filiale e parlare con il proprio consulente. Oggi è sufficiente schiacciare un pulsante ed entrare in una video call. La qualità della relazione è la stessa. La discontinuità è totale.

D. Quindi le filiali bancarie serviranno sempre meno?

R. Le filiali bancarie con fronte strada devono storicamente servire a tre compiti: gestire la materialità delle operazioni, fare consulenza e attrarre nuovi clienti. Oggi però la tecnologia sta cambiando radicalmente i paradigmi. La maggior parte delle operazioni ormai si possono fare in modalità self service oppure online. Anche i clienti si possono sempre più acquisire online e la consulenza appunto può esser fatta in video e in remoto. Questo ovviamente non significa che le filiali spariranno come le cabine telefoniche: molti clienti ne sentono ancora bisogno per alcune tipologie di operazioni. Insomma, non spariranno completamente ma se ne avrà sempre meno bisogno.

D. Forse anche per questa ragione nelle scorse settimane la scelta di Bbva di aprire una banca completamente digitale in Italia ha fatto molto clamore. Le banche percepiscono la minaccia?

R. Non c'è dubbio che la tecnologia stia portando una rivoluzione copernicana nel sistema bancario e nell'esperienza bancaria del cliente. Intendiamoci, le banche possono contare su un grande punto di forza rispetto alle fintech: hanno il cliente già in casa. Tuttavia, per dare il tipo di servizio che oggi la clientela sempre più si aspetta, gli istituti hanno di fronte sfide molto complicate, a partire dalla gestione delle legacy. Pensiamo solo all'infrastruttura informatica: quasi tutte le grandi banche mondiali devono ancora usare massicciamente il Cobol, un linguaggio di programmazione vecchio di 60 anni. Non lo fanno certo per pigrizia ma perché non si possono rottamare e sostituire tout court le piattaforme proprietarie, che però hanno enormi costi e tempi di manutenzione e sviluppo. Puoi cambiarle solo un po' per volta ed è un processo molto lento e oneroso. C'è poi una legacy di carattere culturale. A differenza di quanto avviene nelle fintech, una buona parte dei dipendenti bancari non sono nativi digitali e questo ha implicazioni importanti sull'adozione delle nuove tecnologie e dei nuovi metodi di lavoro. Ragionamento analogo si può fare per i cda delle banche dove sono rare le competenze per guidare o supportare profonde trasformazioni digitali. Comunque tra banche e fintech ci sono anche chiari spazi di alleanza.

D. Soprattutto, sostiene qualche suo collega, c'è la dittatura della trimestrale.

R. È vero il reporting periodico non aiuta perché quando fai grandi investimenti per un po' di tempo non cresci. E siamo di fronte a cambiamenti di lungo periodo che richiedono risposte di lungo periodo. Pensiamo a Paypal: quando la multinazionale statunitense è nata, nel 1997, il termine fintech non esisteva nemmeno. Oggi è un colosso che capitalizza il triplo della maggiore banca europea. Tutto questo però non è avvenuto in sei mesi, ma in 24 anni. Se pensiamo che il mandato di un Ceo in una banca quotata va rinnovato ogni tre anni, certe resistenze appaiono più chiare.

D. Insomma oggi è più semplice fare lo startupper che il banchiere. Quale bilancio per il primo anno d'attività di Aidexa?

R. Siamo molto contenti. Interamente dedicati alle piccole imprese, siamo nati in piena pandemia il primo luglio del 2020 come 106 col supporto di azionisti quali Generali, Sella, Ifis e altri. Poi abbiamo introdotto il primo prodotto distintivo X -Instant, un credito che consente all'imprenditore di ricevere la risposta in 20 minuti e i soldi sul conto in un paio di giorni. Voglio sottolineare che venti minuti anziché un mese, senza burocrazia, è un'autentica rivoluzione per il cliente. L'imprenditore tutto ha voglia di fare tranne che trattare per giorni con la banca per ottenere quattrini. E per noi la velocità e semplicità del servizio sono un mantra. Nel giugno 2021 Aidexa ha ottenuto la licenza bancaria da Bce e Banca d'Italia per essere banca a tutto tondo. Nel frattempo abbiamo costruito la struttura di base: siamo 55 persone e cresceremo ancora. Con l'estate sono stati lanciati nuovi finanziamenti con garanzia del Fondo Centrale o in partnership con i Consorzi Fidi, oltre a X Risparmio, il nostro primo conto di deposito. A settembre Linkedin ci ha premiato come miglior start-up italiana del 2021.

D. Mentre Aidexa muove i primi passi, le geografie del banking italiano stanno cambiando. Grande attenzione va soprattutto al processo di consolidamento in corso. Anche lei lo ritiene inevitabile?

R. Lo ribadisco: credo che la sfida fondamentale per le banche oggi sia tecnologica, non dimensionale. Gli istituti di credito in sostanza devono individuare strategie efficaci per soddisfare e trattenere i propri clienti. Il consolidamento è una strategia possibile, ma non una ricetta universale.

D. In un'ottica di ristrutturazione però l'M&A oggi potrebbe servire soprattutto per generare sinergie di costo. Lei non è d'accordo?

R. Nutro qualche dubbio sul fatto che M&A sia l'unica ricetta. In primo luogo per ridurre il numero di persone presenti in banca serve un accordo sulle modalità di uscita, che si tratti di scivoli pre-pensione o di accordi volontari. Questo è il vero vincolo oggi, prescinde dalle attività di M&A e dipende da altre variabili, dall'età anagrafica dei dipendenti, dalla fattibilità di accordi volontari. In secondo luogo, oggi per ottimizzare gli organici non è più necessario l'M&A. Certo le fusioni permettono di tagliare le duplicazioni, ma grazie alla tecnologia e al digitale le banche potrebbero già oggi ridurre gli organici a prescindere dalle fusioni, se non lo fanno è solo perchè il vero vincolo è di natura giuslavoristica.

D. Nel 2015 lei ha lasciato Unicredit dopo 18 anni. Negli ultimi mesi la banca ha cambiato rotta, ridando centralità al mercato italiano. Che ne pensa di questa svolta strategica?

R. Credo che l'Italia abbia bisogno di Unicredit e che Unicredit abbia bisogno dell'Italia. Mi sembra quindi un'evoluzione molto sensata.

fch

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November 08, 2021 02:40 ET (07:40 GMT)