ROMA (MF-DJ)--Le remunerazioni dei ceo sono un aspetto sempre più rilevante nella strategia delle banche italiane. Non solo perché, dopo l'entrata in vigore della Vigilanza Unica, rappresentano un frequente elemento di confronto con il regolatore; ma anche perché gli investitori istituzionali stanno dedicando crescente attenzione a questo aspetto. Lo si è visto nelle ultime stagioni assembleari, quando alcuni istituti hanno rischiato la bocciatura da parte del mercato.

Ma vediamo più nel dettaglio qual è oggi la situazione dei ceo nelle principali banche italiane. In base agli ultimi dati ufficiali (esercizio 2021), la busta paga più pesante si conferma quella dell'amministratore delegato di Unicredit Andrea Orcel. Arrivato in piazza Gae Aulenti nella primavera del 2021, il banchiere era subito finito al centro di polemiche per il compenso da 7,5 milioni concesso dal consiglio di amministrazione. La cifra, pur elevata per il mercato italiano, non si discosta comunque dalla media delle grandi banche europee dove gli stipendi dei capi azienda superano anche la soglia dei 10 milioni (come accaduto all'ex ceo di Ubs Sergio Ermotti che nel 2020 aveva incassato quasi 12 milioni di euro). Nel 2021 Orcel ha comunque ricevuto un totale di 6,7 milioni così articolati: 1,8 milioni di componente cash fissa, 89 mila euro di cash variabile e 4,8 milioni di azioni.

Cifre superiori a quelli incassate dal predecessore Jean Pierre Mustier nel 2020: 5,2 milioni articolati in 911 mila euro di fisso e 4,3 milioni equity. La scorsa settimana il Financial Times ha riportato indiscrezioni su un possibile aumento dello stipendio di Orcel, anche se per il momento il vertice della banca non si sbilancia: il ceo "non ha mai avanzato richieste di alcun tipo né al consiglio di amministrazione né al comitato per le remunerazioni di aumento del suo compenso", ha puntualizzato il presidente Pier Carlo Padoan.

In Intesa Sanpaolo Carlo Messina ha ricevuto nel 2021 un compenso di circa 4,7 milioni, così ripartito: 2,62 milioni come componente cash fissa, 414 mila euro come premio cash annuale e azioni per un controvalore di 1,65 milioni, a valere sui programmi di incentivazione degli esercizi precedenti. La cifra è superiore a quelle del 2020 (4,26 milioni) e del 2019 (4,32 milioni), anche alla luce dell'evoluzione positiva del mercato, mentre è ancora presto per fare previsioni sul 2022. La componente variabile è infatti collegata ai risultati aziendali dell'anno in corso e pertanto, allo stato attuale, non è quantificabile.

In terza posizione sul podio dei ceo bancari italiani più pagati c'è l'amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel che nell'ultimo esercizio disponibile ha ricevuto compensi per 4,4 milioni: 1,9 milioni di componente fissa, 1,17 milioni di componente cash variabile e 1,33 milioni in azioni. Anche in questo caso il trend è in crescita rispetto agli anni della pandemia. Seguono Giuseppe Castagna di Banco Bpm (2,33 milioni), Gian Maria Mossa di Banca Generali (1,8 milioni), Massimo Doris di Banca Mediolanum (1,8 milioni), il ceo di Bper Piero Montani ha ricevuto 1,2 milioni, il fondatore di Illimity Corrado Passera (769 mila euro) e l'ad di Mps Luigi Lovaglio (466 mila euro).

"Quello delle remunerazioni dei ceo è un tema sempre più caldo nei rapporti tra le grandi banche e il mercato", spiega a MF-Milano Finanza Andrea Di Segni, managing director di Morrow Sodali. Sotto la lente degli investitori non c'è tanto l'importo generico dei compensi quanto i criteri che lo regolano. L'utilizzo dei criteri Esg come key performance indicator (kpi) per la remunerazione del management è la nuova frontiera che si sta aprendo in Europa. A livello metodologico la questione è stata già affrontata da almeno un decennio e nel mondo - soprattutto anglofono - le grandi banche collegano ormai regolarmente le remunerazioni del management anche ai criteri Esg.

Quello Esg peraltro è un insieme ampio nel quale rientrano una molteplicità di tematiche. Tra queste l'attenzione del mercato continua ad andare soprattutto al climate change, seguito dalla composizione e dall'efficacia del board, dalla gestione del personale fino alla remunerazione dei dirigenti. Senza dimenticare temi apparentemente più di nicchia, anche se sempre più rilevanti per le aziende, come la gestione della supply chain, la cybersecurity e la biodiversità.

"In media in Italia tra il 10 e il 20% dei piani di incentivazione è ormai collegata a criteri Esg, a riprova del fatto che per questi aspetti c'è un'attenzione costante da parte degli istituti di credito e degli investitori", spiega Di Segni. Si tratta peraltro di temi su cui all'estero si vede già un confronto serrato tra banche e mercato, come dimostrano le cronache finanziarie degli ultimi anni. L'assemblea di Jp Morgan Chase per esempio si è opposta a un bonus di circa 50 milioni di dollari per il ceo Jamie Dimon e ha votato contro 201 milioni di remunerazioni per sei top manager. Solo il 31% degli azionisti ha espresso un voto positivo. Che dire del mercato italiano? Piazza Affari non è abituata alle battaglie assembleari che si combattono in Usa o in Uk, ma il vento del cambiamento sta arrivando anche qui. "Sicuramente fissare il compenso per un top manager o un amministratore delegato è oggi un'operazione molto più delicata rispetto a qualche anno fa e le grandi banche non possono permettersi di prenderla alla leggera", conclude Di Segni.

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1208:53 dic 2022


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