ROMA (MF-DJ)--Il ceo di Unicredit, Andrea Orcel, alleandosi con Azimut, ha ufficialmente dichiarato guerra ad Amundi. Una battaglia che si gioca nel risparmio gestito, un mercato che, nonostante la battuta d'arresto della raccolta quest'anno dovuta alla crisi delle Borse, ha enormi prospettive intatte di rilancio di fronte a sè vista l'enorme massa di liquidità (oltre 1.818 miliardi di euro in Italia a fine novembre secondo gli ultimi dati Abi, 4 miliardi in più da novembre 2021) che giace sui conti correnti ed è a rischio di deprezzamento con l'inflazione alle stelle.

Unicredit e Azimut, scrive Milano Finanza, creano il polo italiano del risparmio gestito. Utili dal 2023. Ecco i dettagli. I titoli corrono">L'accordo, annunciato venerdì 16 dicembre, tra Unicredit e Azimut cambierà gli equilibri nell'industria italiana dell'asset management e va visto proprio alla luce delle potenzialità di intercettare questa massa di risparmio parcheggiata. La partnership prevede la creazione di una fabbrica prodotti in Irlanda da parte della società di gestione presieduta da Pietro Giuliani che svilupperà prodotti di investimento da distribuire in Italia attraverso la rete Unicredit, su base non esclusiva. Una sorta di joint venture per creare un polo italiano dei fondi perché la banca di piazza Gae Aulenti avrà il diritto di esercitare dal 2028 una call per l'acquisizione della newco irlandese. Magari quando a fine 2026 scadrà l'accordo di distribuzione che Unicredit ha attualmente con Amundi, accordo che è stato siglato dopo che la banca sei anni fa, sotto la guida dell'allora ceo, il francese Jean Pierre Mustier, vendette al colosso d'Oltralpe la sua sgr, Pioneer, grazia alla quale oggi Amundi è terza per masse in Italia con 208 miliardi.

Ed è il motivo per cui oggi Unicredit non compare più nella mappa di Assogestioni delle società di gestione (ma non c'è nemmeno Azimut perché il gruppo che ha masse per 87 miliardi qualche mese fa è uscita dall'associazione) dove figura invece al primo posto l'altra grande banca italiana, Intesa Sanpaolo, con asset per 478 miliardi, suddivisi tra Eurizon (375 miliardi) e Fidueram (103 miliardi). L'Istituto guidato dal ceo Carlo Messina ha infatti già da tempo adottato una strategia ben precisa nel risparmio gestito: quella dell'internalizzazione. Gestisce tutto in casa a differenza di Unicredit che ha venduto Pioneer e che ora con l'accordo con Azimut ha lanciato un modello nuovo in Italia accanto, da una parte, a quello di Intesa Sanpaolo, e dall'altra a banche come Mps e Banco che non hanno la sgr di proprietà ma accordi di distribuzione con Anima, società di gestione guidata dall'ad Alessandro Melzi d'Eril, che però colloca i suoi fondi anche tramite molte altre banche sul territorio italiano (ha un centinaio di partnership di collocamento). Anche se non figura nella mappa di Assogestioni, Unicredit ha masse totali per 194 miliardi, di cui Equita Sim stima circa il 75% in Italia: Azimut con la jv con Unicredit torna un po' a casa">«il network di Unicredit raggiunge 7 milioni di clienti in Italia», ha sottolineato la sim in seguito all'operazione con Azimut. Dal canto suo Akros ha alzato il prezzo obiettivo su Azimut da 22,5 a 26 euro dopo questo accordo (giudizio buy confermato) giudicato, dalla stessa Akros e anche da Kepler «un elemento di svolta» per Azimut considerando, prosegue Akros, «il numero di clienti di Unicredit e la capillarità della sua rete» che, osservano gli analisti di Intesa Sanpaolo e di BofA, si affianca alla base distributiva di Azimut finora costituita dalla sua struttura di consulenti finanziari.

«Questo modello di partnership diventerà un punto di riferimento per il settore perché nel risparmio gestito le dimensioni saranno sempre più importanti. Le società di taglia medio-piccola potrebbero avere difficoltà a competere in un mercato nel quale l'approccio geografico degli investimenti non sarà più vincente ma occorrerà sempre più avere una specializzazione in megatrend come l'Esg, o in settori alternativi o di nicchia, ad esempio private equity o metaverso. A meno di essere un operatore davvero globale, non è possibile avere una reale diversificazione dell'offerta facendo tutto in casa», spiega Mauro Panebianco, partner e responsabile dell'asset & wealth management advisory di PwC. Quali impatti invece per i risparmiatori di un modello di partnership come quello tra Unicredit e Azimut? «Comporta una serie di elementi che vanno nella direzione di migliorare e innovare l'offerta dei prodotti, ma c'è anche un tema legato alla formazione più efficace del personale. Inoltre un accordo di questo tipo mette a fattor comune gli investimenti e quindi a tendere ci potrebbe essere una riduzione delle commissioni per i clienti finali», aggiunge Panebianco.

Più in generale c'è da dire che la nascita di una nuova iniziativa che coinvolge due importanti player è un segnale di rafforzamento per industria italiana dell'asset management che negli ultimi anni ha perso competitività, aprendo la porta a player internazionali.

«Un modello ibrido di collaborazione tra asset manager e distributore, a metà tra il modello di distribuzione fondi a scaffale e quello completamente integrato, presenta caratteristiche molto interessanti. L'accordo si inserisce in un mercato che negli ultimi anni ha visto aumentare il livello di concentrazione in termini di flussi di raccolta su singoli asset manager o su singoli fondi», aggiunge Claudio Bocci, partner e responsabile della business line asset management di Prometeia. Come rilevato sulla piattaforma Asset Management Insights di Prometeia, nel 2016 in Italia le prime 15 società di gestione detenevano il 70% del mercato, oggi l'84%. «Il settore dell'asset management è molto competitivo con un'offerta che si articola con un'ampia varietà di fondi, ma alla fine le scelte dei distributori si stanno orientando verso numero via via più ridotto di player con i quali impostare partnership di lungo termine. Questo anche per la pressione dei regolatori, che spingono affinché i distributori forniscano al cliente più informazioni per prendere decisioni consapevoli, comportando scambi informativi più onerosi tra distributore e gestore», spiega Bocci.

L'accordo può essere visto anche come figlio di un 2022 in cui c'è stata una battuta di arresto importante della raccolta del gestito dovuta al cambiamento del contesto macro e quindi a cascata si sono registrate performance negative non solo nei fondi azionari ma anche nell'obbligazionario con perdite anche del -15%. «Una discontinuità del mercato che può stimolare idee nuove di fare business considerando che la liquidità sui conti correnti delle famiglie italiane resta ai massimi storici. Nel contempo, con l'aumento dei tassi, si sta riaffacciando sul mercato tutta una serie di strumenti che negli ultimi anni avevano perso competitività, dai Btp ai conti di deposito, che sono tornati a offrire remunerazioni interessanti, e ciò pone ulteriore pressione sugli asset manager», conclude Bocci.

alu


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December 27, 2022 07:17 ET (12:17 GMT)