Ricordiamo che l'incremento dei tassi di interesse influisce direttamente sulle azioni, il cui principale richiamo risiede nel rendimento dei dividendi.

Infatti, quando il tasso privo di rischio - quello dei titoli di stato decennali - si avvicina al 4%, gli investitori richiedono naturalmente un premio di rischio per le azioni che erogano dividendi, variabile in base al potenziale di crescita delle attività sottostanti.

Per gruppi come Verizon o AT&T, che non registrano crescita al netto dell'inflazione, è logico che le valutazioni si ridimensionino automaticamente al ribasso per garantire rendimenti tra il 7% e il 9%, ovvero il tasso privo di rischio del 4% più un premio di rischio tra il 3% e il 5%. Niente di sconvolgente.

A ciò si aggiunge un'attività incandescente legata allo scandalo dei cavi in piombo installati da questi operatori nel secolo scorso, e il rischio di azioni legali per violazione delle normative ambientali: una questione che potrebbe costare carissimo a entrambe le telco.

Tali sviluppi hanno portato i prezzi delle azioni di Verizon e AT&T ai loro minimi storici - livelli che la prima non vedeva dal 2010 e la seconda dal 1992 - con rendimenti sui dividendi dell'8,3% e dell'8,2%.

Stiamo assistendo semplicemente a una sana evoluzione e, più che a una correzione, a un ritorno a livelli di valutazione razionali alla luce del contesto dei tassi di interesse. Dopotutto, gli operatori di telecomunicazioni non registrano crescita, mentre le loro attività altamente capital-intensive assorbono quote sempre maggiori dei loro cash-flows operativi.

In questo contesto, non possiamo aspettarci molto di più se non una distribuzione di dividendi stabile nel tempo. Ecco il punto su cui riflettere: i cash-flows di Verizon coprono ampiamente la distribuzione, ma nell'ultimo decennio abbiamo assistito a un aumento del debito di 86 miliardi di dollari, quasi quanto il totale dei dividendi versati agli azionisti nello stesso periodo.

Perché questo marcato aumento del debito? Perché, oltre alle operazioni, è stato necessario finanziare varie obbligazioni storiche, tra cui quelle legate al piano pensionistico. L'aumento dei tassi di interesse dovrebbe fornire un po' di sollievo in tal senso, ma l'esperienza insegna che non si è mai al riparo da brutte sorprese.

Il caso, ad esempio, non è dissimile da quello di General Motors, che nel 2008 è finita in bancarotta soprattutto a causa del suo piano pensionistico. C'è però una differenza con Verizon: l'attività della casa automobilistica era intrinsecamente ciclica, mentre le telco continuano a fare affidamento su una perfetta ricorrenza dei loro volumi di affari - in pratica, sono diventate delle vere e proprie utility.

Rimane il rischio di azioni legali legate allo scandalo ambientale dei cavi in piombo. Un vecchio adagio borsistico ci ricorda che raramente c'è un solo scarafaggio in cucina: quando se ne scopre uno, spesso ce ne sono altri nascosti. La prova è che lo scandalo è apparso sulla stampa poche settimane dopo la prima caduta dei prezzi delle azioni causata dall'aumento dei tassi di interesse.

Il prossimo periodo si preannuncia ricco di novità per le telco statunitensi e, per estensione, per le loro controparti europee, non appena anche la BCE inasprirà la sua politica monetaria. Gli azionisti di Orange e Deutsche Telekom, tra gli altri, farebbero bene a prenderne nota.