PECHINO (awp/ats/ans) - La Cina scivola in deflazione per la prima volta da febbraio 2021 e alimenta nuovi dubbi sulla tenuta della sua economia. Quando gran parte del mondo è alle prese con la pericolosa impennata dei prezzi, dagli Usa all'Ue, il Dragone registra invece a luglio la brusca frenata dei prezzi al consumo (-0,3% annuo) e alla produzione (-4,4%) per la debolezza di domanda interna e estera.

Nulla allo stato, soprattutto di fronte agli scenari esterni di tensioni geopolitiche su cui pende anche l'attesa stretta dell'amministrazione Usa di Joe Biden sugli investimenti americani in alcune industrie cinesi, lascia ipotizzare un recupero a breve. Ad essere finito sotto pressione è l'intero modello di crescita deciso dalla leadership comunista: la 'doppia circolazione' di cui i pilastri portanti sono l'export e i consumi interni. I deludenti dati sui prezzi fanno seguito a quelli altrettanto negativi di martedì sull'interscambio commerciale che, sempre a luglio, hanno visto il crollo a doppia cifra di esportazioni (-14,5%) e importazioni (-12,4%). Gli investimenti diretti esteri sono scesi a pochi miliardi di euro, a livelli impensabili fino a pochi anni fa.

La deflazione, che si riferisce al calo dei prezzi di beni e servizi, è causata da una serie di fattori, tra cui il calo dei consumi: è una minaccia per l'economia perché, se da un lato i beni più a sconto possono sembrare vantaggiosi per il potere d'acquisto, spinge i consumatori a posticipare gli acquisti sulle attese di ulteriori riduzioni dei prezzi. La minore domanda porta le aziende a ridurre la produzione, a bloccare le assunzioni o a licenziare, fino ad accettare nuovi sconti per vendere le scorte a danno della redditività. A tal proposito, l'esempio più ricorrente è quello del Giappone e non a caso alcuni analisti parlano già di 'nipponizzazione' dell'economia cinese. Pechino ha avuto un breve periodo di deflazione a fine 2020 e a inizio 2021, in gran parte per il crollo dei prezzi della carne di maiale, la più consumata nel Paese, dopo la galoppata sull'emergenza interna per la peste suina.

Molti osservatori, tuttavia, temono questa volta una deflazione in scia per le difficoltà dell'economia e della disoccupazione giovanile record (oltre il 20%) in un'impronta marxista-leninista impressa dal presidente Xi Jinping. In aggiunta, il settore immobiliare, capace in passato di generare fino a un terzo del Pil, è in profonda crisi. Liu Guoqiang, vice governatore della Banca centrale (Pboc), ha detto a luglio che non ci sarebbero rischi deflazionistici in Cina nella seconda metà dell'anno, pur rilevando che l'economia aveva bisogno di tempo per tornare alla normalità dopo la pandemia del Covid-19. La ripresa economica cinese ha subito un rallentamento dopo un inizio vivace nel primo trimestre 2023: le autorità hanno lanciato una raffica di misure di sostegno all'economia, con ulteriori azioni attese nel breve periodo. Il governo ha fissato un target d'inflazione 2023 del 3%, in rialzo sul 2% del 2022, e un Pil di "circa il 5%", tra i più bassi degli ultimi decenni.

Intanto, i rapporti con gli Usa dopo destinati a peggiorare ulteriormente: con la mossa descritta come necessaria per tutelare la sicurezza nazionale, Biden, dopo lo stop all'export di microchip ad alto valore aggiunto, si avvia - ha anticipato il Nyt - a vietare alle società di private equity e venture capital gli investimenti in settori high-tech, richiedendo alle società attive in Cina di riportare le attività per dare al governo Usa più visibilità degli scambi finanziari fra Washington e Pechino.