La Corte Suprema peruviana questa settimana ha confermato una sentenza precedente che permette a Estrada, una psicologa di 44 anni, di porre fine alla sua vita dopo una battaglia legale di cinque anni e anni di malattia.
Secondo la legge peruviana, l'assistenza al suicidio e l'uccisione di un paziente malato terminale sono punibili con il carcere.
In un Paese profondamente cattolico romano, dove l'aborto e il matrimonio gay rimangono illegali, la decisione del tribunale è vista come una pietra miliare nel dibattito sull'eutanasia. In America Latina, solo la Colombia consente la procedura, ma a determinate condizioni.
"Questa vittoria mi aiuterà ad affrontare meglio l'imminente e inevitabile peggioramento della malattia. Mi darà tranquillità e calma", ha detto a Reuters.
Estrada soffre di polimiosite, una malattia rara che attacca i muscoli con un deterioramento degenerativo. Ha trascorso la maggior parte della sua vita prostrata in un letto collegato a un respiratore meccanico e con l'assistenza quasi quotidiana di un'infermiera.
La sentenza della Corte Suprema emessa questa settimana ratifica una precedente decisione del tribunale che richiedeva all'assicurazione sanitaria statale del Perù di fornire "tutte le condizioni" per l'eutanasia di Estrada, che deve essere eseguita entro un periodo di 10 giorni dalla data in cui lei esprime la volontà di porre fine alla sua vita.
La Corte Suprema ha esentato da qualsiasi pena il medico che alla fine fornirà il farmaco destinato a porre fine alla vita di Estrada.
"Perché la morte con dignità? Perché voglio evitare la sofferenza, voglio evitare il dolore, ma soprattutto perché si tratta di vita e di libertà", ha detto Estrada, sdraiata a letto dopo che la sua infermiera le ha messo un cuscino addosso.
"Stabilire il diritto alla morte è un precedente fondamentale. È il primo caso ed è irrevocabile, e permette ad Ana Estrada di poter decidere di porre fine alla sua vita in un determinato momento", ha detto Walter Gutierrez, avvocato di Estrada ed ex difensore civico.
