MILANO (MF-DJ)--Lo sforzo da parte delle Nazioni del G7 di stabilire una tassa minima globale per le multinazionali rappresenta una rara opportunità per soddisfare gli obiettivi sia degli Stati Uniti che della Cina. Tuttavia, il sostegno di Pechino alla proposta non è scontato.

La proposta dovrebbe essere all'ordine del giorno nella riunione ministeriale del G20, che include la Cina, il mese prossimo. In base alla proposta, le Nazioni accetterebbero di adeguare i propri regolamenti per tassare le aziende più grandi in base a dove operano e stabilire nuove soglie, tra cui un'aliquota minima del 15%.

L'accordo sembrerebbe avere poche implicazioni dirette per il sistema fiscale cinese, che già impone aliquote al di sopra delle soglie proposte e ha intensificato l'applicazione delle norme fiscali in patria. I cambiamenti nella politica fiscale globale potrebbero avere un effetto maggiore su Hong Kong, un centro finanziario che vanta aliquote fiscali basse, così come nell'enclave del gioco d'azzardo Macao, entrambi territori cinesi.

L'accordo, promosso dall'amministrazione Biden, arriva mentre Pechino ha una sua lista di priorità nei confronti di Washington, a cominciare dalla rimozione dei dazi commerciali imposti durante la presidenza di Donald Trump. Anche se Pechino potrebbe sfruttare l'opportunità per chiedere una concessione degli Stati Uniti in cambio del suo sostegno, la Cina ha storicamente sostenuto iniziative fiscali internazionali e potrebbe essere improbabile che blocchi una misura che ha già il sostegno di altre grandi economie.

La proposta fiscale del G7 sarebbe più incisiva se dovesse ottenere un ampio sostegno al G20, dove la Cina è una voce forte insieme a Russia, India e Brasile.

L'accordo fiscale offrirebbe una prova dell'impegno di Pechino per il consenso internazionale dopo mesi di diplomazia volti a incoraggiare gli Stati Uniti e altre Nazioni a elaborare politiche in forum come il G20. La Cina ha criticato ciò che vede come una deriva verso politiche unilaterali, nonchè gli sforzi delle Nazioni occidentali per dettare la politica a Pechino.

Yang Jiechi, il principale collaboratore in materia di politica estera del presidente cinese, Xi Jinping, a marzo ha detto al segretario di Stato americano, Antony Blinken, che la Cina non avrebbe seguito "ciò che è sostenuto da un piccolo numero di Paesi come il cosiddetto ordine internazionale basato sulle regole". Anche se il contesto immediato dei commenti di Yang sembrava essere la critica occidentale alle politiche cinesi sui diritti umani, Pechino ha ripetutamente chiesto un posto al tavolo dei negoziati per le principali decisioni di governance.

Un portavoce del ministero degli Esteri cinese lunedì ha eluso una domanda sul merito della proposta fiscale ma ha detto che la Cina accoglie con favore l'opportunità di discutere le questioni all'interno del G20, in linea con il suo sostegno alla diplomazia multilaterale. "Sosteniamo la promozione di un accordo sul piano a metà del 2021 all'interno di un quadro multilaterale in conformità con il mandato del G20", ha affermato il portavoce, Wang Wenbin.

Dato il suo passato sostegno agli sforzi globali per rafforzare la governance fiscale, è probabile che Pechino sosterrà la proposta del G7, afferma Henry Gao, esperto di commercio e diritto cinese presso la Singapore Management University, ricordando che solo pochi anni fa Pechino ha criticato i tagli fiscali dell'amministrazione Trump come un tentativo egoistico di utilizzare le tasse per attirare investimenti negli Stati Uniti.

Nel 2017 la Cina è stata tra le oltre 70 Nazioni a firmare una convenzione sui trattati fiscali promossa dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Le banche della Nazione hanno anche inasprito le regole del know-your-customer per i depositanti e negli ultimi anni hanno chiesto ai cittadini statunitensi di segnalare gli interessi maturati sui loro depositi, il risultato di accordi con le autorità fiscali statunitensi.

Come gli Stati Uniti, la Cina ha grandi aziende Internet con ambizioni globali che potrebbero dover affrontare nuove tasse digitali in Europa senza l'accordo fiscale del G7. La stessa Cina non è certo il tipo di paradiso fiscale ora nel mirino dei regolatori internazionali: la sua aliquota fiscale del 25% sulle società e altri oneri possono renderla un luogo costoso per fare affari. Ma aliquote fiscali più basse si applicano a Hong Kong e Macao, due territori cinesi che stabiliscono le proprie regole fiscali, mentre numerose società di proprietà cinese sono registrate nei paradisi fiscali nei Caraibi e altrove.

L'aliquota dell'imposta sulle società in Cina può essere ridotta al 15% per "imprese qualificate impegnate in settori sostenuti dal Governo cinese", comprese alcune aziende tecnologiche, secondo una sintesi delle politiche del Paese di PricewaterhouseCoopers. PwC osserva inoltre che alcuni investitori stranieri in Cina godono di esenzioni fiscali e altri incentivi.

cos

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June 09, 2021 09:29 ET (13:29 GMT)