MILANO (MF-DJ)--Nell'ambito della campagna Per Salvare l'Italia promossa

da MF-Milano Finanza e da tutti i media di Class Editori proponiamo

l'intervento di Giuseppe Di Taranto, professore emerito di Storia Economica Luiss Guido Carli.

Una premessa. La instabilità del sistema Italia è politica e non economica, nonostante la fuga di risparmio, di imprese e di società verso borse e Paesi esteri. Dalla caduta del muro di Berlino e il dissolvimento dell'Unione Sovietica, in Germania si sono susseguiti solo quattro governi e in Italia 21.I fondamentali della nostra economia infatti sono solidi, a cominciare dalla ricchezza, dal risparmio e finendo alla sostenibilità del debito pubblico, per il quale MF- Milano Finanza ha opportunamente lanciato un manifesto per la sua riduzione. L'Italia fa parte del G7, è la seconda manifattura dell'Unione europea e detiene l'ottavo ammontare di pil al mondo. La Banca d'Italia ha valutato la ricchezza in immobili e attività finanziarie del nostro Paese in oltre 10.000 miliardi, con un aumento dal 2010 di quasi 500 miliardi, anche se a prezzi costanti ne sono stati persi circa 450. In proposito, è opportuno sottolineare che dal 1999 al 2019, l'aumento cumulato dei prezzi è stato di 5 punti in più rispetto a Francia e Germania, che significa una maggiore perdita in poter d'acquisto già prima dell'inflazione scatenata dall'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa, perdita molto più accentuata da una pressione fiscale tra le più elevate non soltanto dell'UE ma dell'Ocse. La sola ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ammontava nel 2021 a 5.256 miliardi - di cui circa 1.000 miliardi in holding di partecipazione, pari al 279% del pil e superiore a quella della Francia, 251%, Spagna, 211%, e Germania, 207%. Dunque, se il 75% del risparmio degli italiani, oltre 2600 miliardi, è investito in società quotate all'estero e dall'inizio dell'anno il valore dei delisting effettuati da nostri importanti imprenditori ha raggiunto i 43 miliardi di euro, è necessario rispondere alla domanda posta da Roberto Sommella: «Ma è colpa loro o del sistema poco accogliente?». Certamente di entrambi e bene fa il Mef a studiare e proporre meccanismi di semplificazione per agevolare la quotazione in borsa delle pmi, per il sottodimensionamento dei mercati azionari italiani ed europei rispetto a quelli degli Stati Uniti. È necessario però ricordare che il modello aziendale degli Usa è market oriented, fondato sulle grandi corporation e sulla divisione tra management e azionariato rispetto a quello europeo, che era ed è banking oriented, soprattutto in Italia dove è maggiore la diffusione di piccole e medie imprese. Inoltre, la pandemia e la guerra russo- ucraina hanno mutato le catene del valore che sono divenute geograficamente sempre più ristrette, condizione che ha comportato, già dopo la crisi finanziaria dei mutui subprime, un loro ridimensionamento e una riduzione dei profitti, in parte compensata dal vantaggio fiscale di localizzazioni societarie in «tax haven», che permettono la riduzione della imposizione fiscale di circa il 42%.

Il problema, dunque, deve essere affrontato sia nelle cause a monte di una politica europea limitata solo alla moneta unica e non ancora ad una coesione politica e fiscale, sia nei comportamenti a valle, dove è improcrastinabile un serio e definitivo intervento del governo, o di quello che verrà dopo il 25 settembre. E' vero che è necessario agire a livello interno con regole adeguate, ma è pur vero che senza una Unione fiscale e del diritto societario dell'Ue, e in particolare dell'Eurozona, ogni provvedimento potrebbe avere scarsi effetti rispetto all'esistenza di paradisi fiscali quali i Paesi Bassi e le agevolazioni previste dalla borsa di Amsterdam. Qui anche la speculazione sul gas sta avendo conseguenze gravi sull'economia. Si tratta, infatti, di un mercato illiquido, cioè con poche contrattazioni e di tipo speculativo, ai cui prezzi si adeguano le altre contrattazioni private. Anche l'aumento del prezzo di materie prime e di derrate alimentari si riflette sull'incremento del nostro debito sovrano, che però lo stesso Draghi, già nel 2019, riteneva sostenibile, perché in grado di soddisfare le due condizioni di volontà e capacità di far fronte ai propri obblighi da parte dell'Italia, per le consolidate eccedenze primarie negli ultimi 20 anni e, nel 2021, per la diminuzione dei rapporti deficit/pil e debito/pil grazie a una sostenuta crescita del 6,5%.

Sono comunque confortanti i dati dell'ultimo rapporto della Federazione autonoma bancari italiani: la ricchezza finanziaria nel nostro Paese è cresciuta, dal 2011 al 2020, del 50%, circa 1.700 miliardi. Al calo delle obbligazioni del 67% è corrisposto un incremento del 78% di fondi di polizze assicurative e una espansione dell'azionariato passato in un anno, dal 2020 al 2021, dal 22% al 24%, per un ammontare di 1.251 miliardi. Il contante si è mantenuto pressoché costante per tutto il lasso di tempo, intorno al 31%. Dati significativi ove si consideri l'atavico atteggiamento prudenziale dei risparmiatori italiani fagocitato ancor più della pandemia.

Rafforzare l'efficienza dei mercati verso il capitale di rischio, diffondere la digitalizzazione ai settori finanziari appannaggio a tutt'oggi soprattutto dalle banche, espandere l'educazione finanziaria che ci vede agli ultimi posti nelle classifiche non solo europee sono la premessa, ma sarebbe meglio dire la condizione necessaria e sufficiente, per attuare qualsiasi futura riforma per il migliore e più redditizio investimento del nostro risparmio.

red

MF-DJ NEWS

3108:01 ago 2022


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August 31, 2022 02:02 ET (06:02 GMT)