MILANO (MF-NW)--Ci mancava solo un nuovo fronte di guerra. A venti mesi dall'invasione in Ucraina, il mercato dell'energia - che fa ancora fatica a ritrovare un suo equilibrio - deve ora fare i conti anche con le possibili ripercussioni di quanto sta accadendo in Medioriente. Con una rinnovata volatilità dei prezzi di gas, petrolio e carbone. Un nuovo conflitto che ha sorpreso il settore proprio a metà del guado. Le energie rinnovabili hanno battuto nei primi sei mesi del 2023 nuovi record di crescita a livello globale, con i costi di produzione che stanno diventando sempre più competitivi rispetto ai combustibili tradizionali. Anche senza incentivi pubblici. Ma, allo stesso tempo, i fossili si stanno rivelando sempre più resilienti e sono ancora lontani dal picco della domanda. Mentre, nel mondo, la domanda di energia cresce, spinta dalle economie emergenti, in particolare asiatiche.

Nel pieno di quel fenomeno ormai definito 'transizione energetica', il mercato si è trovato così a fare i conti con un doppio conflitto che sta coinvolgendo, a vario titolo, tutti i Grandi della terra, si legge su Affari&Finanza di Repubblica. Nel caso del conflitto in Ucraina, la soluzione delle incognite è stata tutto sommato semplice, perché a scatenare il conflitto è stato uno dei protagonisti assoluti del settore: la Russia è il secondo produttore di gas al mondo e il terzo per il petrolio. Data la premessa, l'equazione si risolve trovando il punto di incontro di tre variabili: quanto tempo ci avrebbe messo il blocco occidentale - e in particolare l'Europa - a sostituire le forniture russe, dove avrebbe dirottato il suo export il regime di Mosca e quali conseguenze sul prezzo delle materie prime una volta trovato un nuovo equilibrio tra domanda e offerta.

Ma nel caso dello scontro tra Israele e Hamas, gli investitori si stanno, invece, comportando del tutto irrazionalmente. Perché in questa area del Medioriente non ci sono grandi Paesi produttori coinvolti. E' vero che nel quadrante orientale del Mediterraneo è stato scoperto Leviathan, un enorme giacimento di gas; ma le riserve individuate si trovano per quattro quinti nella zona di sfruttamento di pertinenza di Cipro e solo il rimanente è controllato dal governo di Tel Aviv. Eppure i prezzi del gas e del petrolio, in una fase di ribasso per via di temperature sopra le medie e la frenata della crescita in Europa e Asia, hanno ripreso a salire. In questo caso, gli investitori temono il possibile allargamento del conflitto a Paesi che invece sono ai vertici della produzione. Come l'Iran, ad esempio, o alle nazioni dell'area del Golfo.

Dato il contesto, è difficile fare previsioni a breve, soprattutto per l'instabilità delle quotazioni. Rimane la tendenza di fondo, altrettanto problematica ma per considerazioni completamente diverse. La domanda di energia cresce in tutto il mondo e nonostante le rinnovabili battano record anno dopo anno non riescono ancora a soddisfarla e soltanto in parte a sostituire le fonti fossili. Il che comporta il fatto che il settore ha bisogno di sempre più investimenti: non solo per lo sviluppo delle energie green, per rispondere agli obiettivi di emissioni zero fissato in Europa e Paesi occidentali al 2050 e dieci anni dopo per India e Cina. ma anche per sostituire le riserve di gas e petrolio in via di esaurimento, che per altri 30-40 anni dovranno accompagnare la transizione.

L'incertezza regna sovrana anche per gli addetti ai lavori. Prendiamo il Global gas report presentato settimana scorsa da Snam, da Intenational Gas Union e da Rystad all'Energy Intelligence Forum di Londra. Se è vero che - riferendosi al 2022 - l'industria del gas "è uscita dall'anno più turbolento della sua storia più agile e anche più flessibile", è anche vero che nel 2023 "il mercato globale del gas rimame in uno stato di equilibrio instabile".

Su quali fondamenta si basa questa convinzione? Anche secondo gli analisti che hanno redatto il documento, il tema riguarda gli investimenti, ritenuti non sufficienti per soddisfare le richieste che arrivano dal mercato: "esistono divergenze considerevoli tra le prospettive di domanda globale di energia e gli investimenti in gas naturale, gas a basso tenore di carbonio e gas rinnovabili". Per il report questi tre tipi di gas "svolgeranno un ruolo fondamentale nella decarbonizzazione", in combinazione con il Gnl, il gas liquefatto che viaggia via nave. Risultato: gli investimenti insufficienti sono alla base di un mercato che resta "corto in tema di forniture" e soprattutto "estremamente sensibile alle fluttuazioni sul lato dell'offerta e della domanda". Senza un aumento degli investimenti potrebbe aumentare "il rischio di crisi energetiche" che potrebbero peggiorare dal 2030 in avanti.

Allo stesse modo, è aperto il dibattito che riguarda il punto esatto in cui si trova il settore. Fatih Birol, presidente dell'Agenzia internazionale dell'energia, per esempio, pensa che il picco della domanda dei combustibili fossili sia ormai a un passo (anche prima del 2030) e che la green economy stia battendo tutte le previsioni precedenti. Non la pensa così l'Opec+, che vede una domanda di petrolio in crescita ben oltre l'orizzonte 2030. Così come non condivide il fatto che l'Aie preveda uno stop degli investimenti nei fossili, a patto che le rinnovabili riescano a sostituire la domanda di energia di gas e petrolio. Un'incertezza nella quale si stanno inserendo i sostenitori del nucleare, che potrebbe conoscere un nuovo rilancio grazie all'interesse per i mini-reattori di nuova generazione, con una potenza sotto i 300 Mw.

cos


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October 23, 2023 03:46 ET (07:46 GMT)