LONDRA/NEW YORK (Reuters) - La Russia è sull'orlo di una crisi del debito finora inedita, che potrebbe portarla a un default sul debito legato a fattori geopolitici, non economici o finanziari.

Fino al 24 febbraio scorso, quando le truppe russe hanno invaso il territorio ucraino, nessuno avrebbe potuto immaginare che Mosca risultasse inadempiente sul debito in valuta estera. La reputazione dell'emittente sovrano russo era infatti impeccabile, Mosca poteva contare su forti entrate dal canale export e su una banca centrale fermamente impegnata al contrasto dell'inflazione. Gli asset russi erano quindi tra i preferiti per chi voleva investire sui mercati emergenti.

La decisione del Tesoro Usa di non estendere la licenza che permetteva a Mosca il servizio del debito nonostante le sanzioni ha però spianato al Cremlino la strada del default.

Il ministero delle Finanze russo ha versato 100 milioni di dollari di interessi su due obbligazioni in scadenza oggi attraverso la cassa di compensazione nazionale. Se però i fondi non verranno accreditati sui conti degli obbligazionisti esteri, si tratterebbe di una sorta di default.

Se anche i fondi dovessero arrivare questa volta, entro fine anno Mosca deve comunque rimborsare quasi 2 miliardi di dollari. Una delle obbligazioni - in scadenza a fine giugno - deve essere regolata per contratto al di fuori della Russia, ipotesi che gli addetti ai lavori definiscono irrealizzabile senza una deroga da parte degli Stati Uniti.

E' scaduta l'altroieri l'esenzione introdotta il 2 marzo scorso da Ofac (Office of Foreign Assets Control), l'ufficio del Tesoro Usa che regola le sanzioni imposte da Washington e che ha finora permesso a Mosca di proseguire nei rimborsi agli investitori esteri.

Le crisi del debito dei mercati emergenti non sono una novità. La stessa Russia è risultata insolvente - però soltanto sulle obbligazioni in rubli - nel 1998.

Anche la geopolitica ha già avuto riflessi diretti sui default sovrani di altri mercati emergenti, come nel caso di Venezuela e Iran.

Nel caso dell'Iran, tuttavia, una piccola parte del debito pubblico è stata colpita dalle sanzioni Usa dopo la rivoluzione del 1979. Quanto al Venezuela, l'economia era già in ginocchio ben prima delle sanzioni Usa del 2019, che hanno colpito 60 miliardi di dollari.

Mosca continua invece a incassare dalle vendite di greggio e metalli. Anche se metà delle riserve dell'istituto centrale (640 miliardi di dollari in totale) sono state congelate dalle sanzioni, alla Russia resta liquidità sufficiente per rimborsare circa 40 miliardi di dollari di debito in valuta estera.

"E' una crisi completamente diversa dalle altre dei mercati emergenti: non si tratta di capacità o volontà di pagare, tecnicamente non possono pagare" spiega Flavio Carpenzano di Capital Group, gestore come molti altri esposto alla Russia prima del conflitto ucraino.

Si tratterebbe inoltre per Mosca del primo default sul debito in valuta estera dai tempi della rivoluzione bolscevica del 1917. Le sanzioni alla Russia e le contromisure varate da Mosca hanno comunque di fatto già isolato il paese dal sistema finanziario globale.

Inappropriati i paralleli con i default sovrani più recenti come quello dell'Argentina nel 2020, poiché anche nel caso di Buenos Aires i conti pubblici versavano in stato disastroso.

"Si tratterebbe del primo default guidato dall'esterno e dalla politica nella storia dei mercati emergenti" spiega Stephane Monier, gestore per Lombard Odier.

La scadenza della licenza da parte del Tesoro significa che i creditori potrebbero non ricevere comunque i rimborsi loro dovuti. Secondo Daniel Moreno, responsabile del debito dei paesi emergenti per Mirabaud Asset Management, si tratterebbe di uno scenario del tutto inedito.

"Sarei io, il creditore, a rifiutare il rimborso" osserva.

STRADA SENZA USCITA

Le emissioni russe in valuta, che all'inizio dell'anno quotavano sopra la pari, viaggiano oggi tra i 13 e i 26 centesimi. Sono state inoltre escluse dagli indici.

Una differenza fondamentale con i paesi inadempienti del passato, come Argentina o Venezuela, è che l'attacco russo all'Ucraina - che il Cremlino definisce "operazione speciale" - ha fatto di Mosca un paria agli occhi di molti investitori.

La situazione potrebbe inoltre durare per anni.

"I gestori subiscono pressioni da parte dei clienti, che chiedono di non investire sul mercato russo e di liquidare le posizioni aperte" commenta Gabriele Foà di Algebris Global Credit Opportunity Fund.

Per il momento, un potenziale default è simbolico perché Mosca non può comunque finanziarsi sul mercato internazionale, né ne ha la necessità. Quel che avverrà in futuro però è un'incognita.

Un cambiamento di regime al Cremlino sembra al momento l'unica strada che porrebbe fine alle sanzioni occidentali.

Prima di allora, tuttavia, la Russia potrebbe essere costretta a ristrutturare il debito a costi elevati.

Il default "aumenta il costo dei finanziamenti ed è molto probabile che ciò accada anche alla Russia: dovranno pagare un premio", aggiunge Carpenzano di Capital Group.

Secondo la Casa Bianca, un default russo avrebbe un impatto minimo sull'economia Usa e su quella globale.

"Il malcontento geopolitico è aumentato e gli investitori chiedono rendimenti più elevati" conclude il gestore, facendo riferimenti alle pesanti vendite di asset russi da parte degli investitori cinesi nelle ultime settimane.

(Versione italiana Alessia Pé, editing Sabina Suzzi)