lanciato la suggestione di una fusione tra i due gruppi: che si voglia creare un colosso della componentistica tenendo a bada la concorrenza (esterna e potenzialmente sulla società stessa) dei cinesi? L'incognita chip. C'è un'altra azienda italiana i cui destini sono intrecciati all'auto elettrica.

Stm, gigante mondiale dei semiconduttori, giovedì 2 marzo ha perso il 3,2% a Piazza Affari dopo che Tesla, nel corso dell'investor day, ha annunciato l'intenzione di ridurre del 75% il consumo di carburo di silicio. Un materiale chiave per i chip di Stm, che di Tesla è fornitore. «La componentistica ad alta tecnologia», spiega Matteo Solfanelli, ceo della società di Etf a gestione attiva Investlinx (di cui Exor è azionista di minoranza), «è una delle parti a maggior valore aggiunto della supply chain, perché l'auto elettrica richiede una maggiore presenza di componenti elettronici rispetto all'auto a combustione». Attenzione quindi alle aziende di semiconduttori: Solfanelli guarda alla olandese Asml, produttrice di macchinari per la costruzione di chip (+16% ad Amsterdam da gennaio), «che permette di esporsi al trend di crescita del mercato dell'auto elettrica limitando la pressione competitiva a cui invece sono soggetti i produttori di auto».

Dalla Groenlandia a Tokyo. La filiera dell'auto elettrica comprende un universo di aziende molto diversificato, a livello geografico e settoriale. La tabella in pagina mostra l'ecosistema di investimento del fondo Pharus Electric Mobility Value Niche, che da inizio anno rende il 6,6% e dal lancio, avvenuto nel 2019, più del 51%. Diviso in tre temi principali, batterie, gruppo motore e titoli satelliti, il fondo si dipana in oltre 20 sotto-settori, che vanno dalla produzione e assemblaggio delle batterie ai rotori-statori, alle celle al litio, alla grafite. Al 31 dicembre 2022 il fondo aveva un'esposizione dell'80% all'area Asia-Pacifico (50% Giappone, 23% Corea del Sud), e solo marginale ai mercati occidentali. Segnale del fatto che la corsa all'auto elettrica potrebbe spostare il baricentro degli investimenti dal tradizionale duopolio Stati Uniti-Europa alle borse, ancora sottopesate nei portafogli globali, dell'Estremo Oriente. Non finisce qui: questo giornale ha già parlato di quanto la transizione all'elettrico dipenda dai giacimenti di terre rare. Elementi chimici come disprosio, neodimio o praseodimio sono tutti indispensabili alla costruzione dei veicoli elettrici. Ragione che ha spinto e sta spingendo governi e privati, negli Stati Uniti e in Cina, a un risiko tra i ghiacciai della Groenlandia, ottavo detentore al mondo di terre rare con 1,5 milioni di tonnellate.

A tutta ricarica. E poi c'è l'infrastruttura. La Casa Bianca ha stimato che entro il 2030 dovranno essere installati nel territorio degli Stati Uniti oltre 2 milioni di impianti pubblici di ricarica rapida (le colonnine), per soddisfare la necessità crescente degli automobilisti. Un'occasione per investire. L'Etf Electric Vehicle Charging Infrastructure ha reso più del 13% da inizio anno a Milano, dove è stato quotato grazie a HanEtf. «Sembra sensato che Tesla, così come gli altri costruttori, investa in un'infrastruttura di ricarica unica e uniforme che verrà realizzata dagli operatori del settore», ipotizza Konrad Sippel, head of research dell'index provider Solactive. Un esempio?

«La recente partnership tra la più grande rete di stazioni di ricarica in Nord America ed Europa, ChargePoint, e Mercedes per la realizzazione di 10 mila stazioni in tutti gli Usa». Sul tema sono esposte anche alcune delle più grandi utility italiane: da Enel con Enel X ad A2a.

Il fronte degli sconfitti. A fianco alla schiera dei beneficiari sono tanti i settori della filiera a rischio. Uno studio di PwC commissionato dalla Clepa, associazione europea dei fornitori, ha calcolato che entro il 2040 i posti di lavoro che potrebbero venire a mancare sono 500mila solo per il settore dei motori termici. A fronte dei 226 mila impieghi aggiuntivi legati alla produzione di componenti per l'auto elettrica il saldo resta comunque negativo di 275 mila unità. Potrebbero perdere il lavoro o essere costretti a reinventarsi i meccanici (a favore degli elettrauto), i fabbri e i saldatori, ma anche i produttori di cambi manuali e frizioni e le concessionarie (l'auto elettrica è meno soggetta a usura di quella tradizionale). Tra i colossi in fase di riconversione del business figurano le tedesche Bosch e Zf, multinazionale dei cambi e delle frizioni. Nel report finanziario di fine 2021 di Zf la stringa «mobilità elettrica» compare 39 volte, contro le appena due del 2020.

Le spese in ricerca e sviluppo del gruppo sono aumentate di quasi il 22%, superando i 3 miliardi.

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MF-DJ NEWS

0608:30 mar 2023


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March 06, 2023 02:31 ET (07:31 GMT)