MILANO (MF-DJ)--Per l'oroscopo cinese quello iniziato lo scorso febbraio è l'anno del bufalo: segno associato a menti dinamiche e attive che cercano prosperità nel duro lavoro, con pazienza e resistendo alle avversità. Una perfetta metafora di quello che sta succedendo nell'universo degli investimenti: nonostante le turbolenze geopolitiche con gli Stati Uniti, la stretta regolamentare al settore tech che ha causato il flop delle quotate a Wall Street e i timori di una crescita economica più lenta del previsto, l'appeal verso i mercati cinesi è alle stelle.

Il Financial Times ha calcolato che nell'ultimo anno l'esposizione degli investitori globali agli asset azionari e obbligazionari di Pechino ha sfondato il tetto degli 800 miliardi di dollari, segnando una crescita anno su anno di circa il 40%. E questo in un contesto in cui i listini azionari, che lo scorso anno avevano reagito dopo le turbolenze del Covid-19 con un rally da tori, quest'anno si stanno muovendo pazienti, più simili per l'appunto al mite bufalo dell'oroscopo. L'indice Shanghai Composite, cresciuto nel secondo semestre del 2020 di quasi il 22%, da gennaio è aumentato del 2%. Stesso discorso per l'Hang Seng di Hong Kong, che dopo il rally del 19% registrato nell'ultima parte dello scorso anno da inizio 2021 è salito soltanto dell'1%, figurando tra i peggiori a livello globale.

Eppure, scommettere sulle asset class del Dragone continua a essere la prima scelta per molti investitori globali. Alcuni esempi: per la piattaforma di risparmio gestito di Fineco (Fam) la raccolta retail di giugno da 655 milioni di euro è stata trainata proprio dall'interesse per il fondo Fam Target China. C'è poi Ubs Am, che da pochi giorni ha annunciato il superamento dei 3 miliardi di dollari di masse in gestione per il suo China Allocation Opportunity. In generale, guardando alle classifiche stilate da Fida relative alle performance dei migliori prodotti d'investimento focalizzati sui mercati cinesi, si può notare un rendimento medio dei fondi azionari che da inizio anno è pari al 7,76% (quasi 19% sull'orizzonte di un anno), mentre gli obbligazionari crescono del 6,85% e gli Etf azionari del 2%.

In una fase di incertezza macroeconomica e geopolitica per investire con successo in Cina la gestione attiva appare quindi più premiante rispetto alla passiva. Se il mercato ristagna, la chiave di volta del rendimento diventa il processo di selezione dei titoli. «Alcuni fattori rendono l'azionario cinese unico», commenta Jack Lee, gestore del fondo Schroder Isf China A di Schroders, che da inizio anno cresce del 10,35%, «con riferimento in particolare alle A-Share, un mercato ampio che offre esposizione a titoli non disponibili sul mercato offshore cinese e che, essendo meno efficiente per l'elevata partecipazione di investitori retail, pari a circa l'80% dei volumi giornalieri, offre un maggiore potenziale di sovraperformance ai gestori attivi». Proprio le azioni di classe A, titoli quotati nella Cina continentale e denominati in renminbi, hanno lanciato la crescita di fondi e replicanti dedicati, anche grazie all'appeal speculativo più alto per via della presenza sempre maggiore negli indici internazionali emergenti, per esempio l'Msci. Ma le inefficienze di questo tipo di mercato potrebbero costituire un boomerang: «Le A-Share», evidenzia Irmak Surenkon, portfolio specialist dei mercati emergenti di T. Rowe Price, «non offrono più i vantaggi di diversificazione di un tempo, proprio per via della correlazione sempre più alta con i benchmark globali».

Il processo di selezione degli stock picker sta vivendo anche una rotazione settoriale. Ridimensionato il peso dei titoli tech più correlati al contesto macro e alle tensioni globali, ora il focus si dirige verso il mercato interno del Paese. «Comparti che offrono esposizione ai temi di crescita di lungo periodo», commenta Lee, «come l'automazione industriale, i veicoli elettrici e relativa componentistica, la localizzazione delle catene di approvvigionamento». Interessante poi l'ambito dei consumi: «Le abitudini della popolazione continueranno a evolvere», prosegue il money manager, «man mano che aumenteranno i redditi: questo determinerà un aumento della spesa per beni e servizi di qualità maggiore e a prezzi più elevati». Spazio infine ai due megatrend della salute e della transizione verso un'economia sostenibile, perno dei piani economici e politici del presidente Xi Jinping.

Un discorso a parte lo merita l'asset class obbligazionaria: stando ai dati di Credit Agricole da gennaio gli investitori internazionali hanno acquistato oltre 75 miliardi di dollari di titoli di Stato cinesi, con un incremento annuo del 50%. A dare avvio al boom c'è stata l'inclusione dei bond di Pechino denominati in renminbi negli indici obbligazionari globali: ultimo in ordine di tempo il Ftse Russell. Inoltre, il reddito fisso cinese è uno dei pochi a garantire ancora rendimento in un universo mondiale di tassi bassissimi o addirittura negativi. Tra i migliori fondi obbligazionari censiti da Fida spicca il Fidelity China Rmb Bond di Fidelity International, che da gennaio frutta il 6,47%. «La Cina ha ottenuto la miglior perfomance nel mercato dei titoli di Stato rispetto ad altri mercati sviluppati», spiega Vanessa Chan, investment director della società di gestione, che aggiunge: «Una maggiore allocazione nel mercato obbligazionario onshore cinese indotta dall'inclusione nell'indice potrebbe portare forti afflussi esteri nei prossimi anni, fornendo un ulteriore supporto tecnico».

A ciò si uniscono le decisioni di politica monetaria: «Continuiamo a vedere valore nei tassi cinesi sulla base di una politica più accomodante e di una ripresa economica irregolare dopo il Covid». Per quanto riguarda i rischi di default onshore, per la manager «a fronte di questa preoccupazione ci aspettiamo che il governo mantenga sotto controllo le condizioni di liquidità: in tale contesto il bond governativo cinese, attualmente al 3%, rimane favorevole rispetto ad altri importanti mercati dei titoli di Stato».

red/cce

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2608:26 lug 2021

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July 26, 2021 02:27 ET (06:27 GMT)