TOKYO (awp/ats/ans) - La Banca del Giappone (BoJ) mette fine alla politica dei tassi sotto zero adottata nel 2016, e torna ad alzare i tassi per la prima volta dal 2007. Un segnale, anche se prudente, di fiducia nel ritorno dell'inflazione e del desiderio di normalizzare i tassi d'interesse, anche se sul futuro incombono diversi interrogativi: a partire dalla pressione al rialzo che arriverà sullo yen dall'orientamento espansivo della Fed e della Bce.

La Federal Reserve (Fed), banca centrale degli Stati Uniti, si riunisce fra oggi e domani, quando è atteso un chiarimento sulla tempistica degli attesi tagli al costo del denaro, ora che anche i mercati cominciano a ridimensionare le loro aspettative vista l'inflazione persistente e l'economia ancora vigorosa. La Banca centrale europea (Bce), alle prese col rischio di una recessione, ha quasi fissato il primo taglio a giugno. Ma formalmente "non abbiamo ancora deciso nulla" - come ha detto oggi il vicepresidente Luis de Guindos - in attesa delle conferme sul fronte salariale di un 'raffreddamento' dei prezzi.

Il problema opposto a quello della BoJ, che dopo trent'anni in cui ha cercato di risollevare l'inflazione gonfiando a dismisura il bilancio della banca centrale con acquisti massicci di attività rischiose, oggi ha deciso una 'svolta', un segnale di fiducia sulla tenuta di un'inflazione abbastanza alta. "Abbiamo ritenuto che il raggiungimento dell'obiettivo di un'inflazione sostenibile al 2% è in vista", ha detto il Governatore Kazuo Ueda.

La BoJ ha alzato il tasso di riferimento portandolo alla forchetta compresa fra 0 e 0,1% dal precedente -0,1% dove stazionava da otto anni, ha messo in soffitta la politica di controllo dei rendimenti e cancellato alcuni attivi dal suo vasto programma di acquisto titoli (che resta in piedi). Ma senza alcun impegno ad alzare ulteriormente i tassi o smontare il programma di stimolo monetario più aggressivo della storia.

A rendere necessaria la piccola 'svolta' di Tokyo è il costo dei tassi negativi: per le banche che vedono compressi i margini sui prestiti, e per l'economia affollata da imprese 'zombie'. A renderla possibile sono i segnali di fiducia sull'economia, a partire da un'inflazione finalmente al 2%, e i rialzi salariali che per alcuni contratti sono ai massimi dal 1991, quando iniziò il 'decennio perduto'.

Anche altre banche centrali che avevano abbracciato i tassi negativi, come la Banca centrale europea (Bce), la Banca nazionale svizzera (BNS) e la Banca di Danimarca, nel 2022 hanno abbandonato. Nel lungo periodo, poi, Tokyo in teoria beneficerà della strada intrapresa da Fed e Bce che, se da una parte oggi vanno verso l'allentamento dei tassi, dall'altra procedono gradualmente nella riduzione del bilancio (Francoforte, che prima della grande crisi finanziaria era a 1000 miliardi, fra acquisti di debito e maxi-prestiti alle banche aveva segnato un picco a quasi 9000 miliardi nel 2022 e ora è scesa a meno di 7000).

Nei prossimi mesi, però, proprio Fed e Bce potrebbero mettere i bastoni fra le ruote a Ueda. I tagli dei tassi in preparazione a Washington e Francoforte, quando arriveranno, ridurranno i rendimenti dei bond americani ed europei aumentando l'attrattiva di quelli giapponesi. Rischiando di far affluire capitali verso il Giappone, facendo salire lo yen e lasciando solo a consumi ed aumenti salariali - non più al tasso di cambio debole - il difficile compito di mantenere un'inflazione sostenibile su cui esercita pressione al ribasso, inesorabile, l'invecchiamento demografico.