ROMA (MF-DJ)--Più una risorsa è importante, più la si dà per scontata. Accade ogni giorno, in ogni gesto. Nessuno crede, che una volta tornati a casa dal lavoro la sera, quando si clicca l'interruttore non si possa accendere la luce. Così come nessuno pensa che appena si apra il rubinetto non possa scorrere nemmeno un rivolo d'acqua. Eppure, ogni secondo che passa questo rischio diventa sempre più concreto. "Per almeno tre milioni e mezzo di italiani, l'acqua dal rubinetto non può più essere data per scontata", è l'allarme lanciato da Francesco Vincenzi, presidente dell'Anbi (associazione nazionale dei consorzi di bacino), alla luce dei dati del Consiglio nazionale delle ricerche, secondo cui una percentuale tra il 6% e il 15% della popolazione italiana vive ormai in territori esposti a una siccità severa o estrema. Questi dati, sottolineano dall'Associazione, mostrano come settimanalmente si registri il peggioramento di una situazione che appare irrimediabilmente compromessa, anche a fronte di prossime e comunque auspicate precipitazioni. Tutti lo sanno, tutti ne parlano eppure il percepito "reale" è di totale sottovalutazione del problema. Lo hanno sintetizzato bene, in un recente report, gli esperti di Ambienta Sgr, la società europea di investimenti focalizzati sulla sostenibilità ambientale con oltre 3 miliardi di euro di asset in gestione: "Riteniamo che l'acqua sia abbondante e facilmente disponibile in termini di quantità e qualità, anche quando non lo è". Si pensi che quattro miliardi di persone, cioè oltre la metà della popolazione mondiale, sperimentano la scarsità d'acqua almeno un mese all'anno e 1,42 miliardi di persone vivono in aree ad alta vulnerabilità idrica. "Il cambiamento climatico odierno sta sconvolgendo il ciclo dell'acqua mentre modelli di consumo insostenibili e inquinanti minacciano un falso senso di sicurezza prevalente soprattutto nel mondo sviluppato".

Nel rapporto sul rischio idrico, intitolato «Dare un senso a ciò che è ancora più essenziale. Una risorsa naturale sottovalutata", gli esperti di Ambienta hanno sottolineato come a livello globale venga ritirato il 10% di acqua in più di quanto serve e, soprattutto, che se l'approvviggionamento sostenibile rimanesse stabile a 4.200 miliardi di metri cubi entro il 2030, la crescente necessità di prelevare acqua per uso domestico, industriale e agricolo amplierebbe questo divario al 40% al 2030. In sostanza, prevedono da Ambienta, il prelievo di acqua potrebbe aumentare del 50% passando dall'attuale livello di 4.600 miliardi di metri cubi a 6.900 miliardi di metri cubi nel 2030, tenendo conto della crescita della popolazione e del pil (e senza aumenti della produttività idrica). Nello spaccato, l'agricoltura rappresenta la quota maggiore del prelievo globale, occupando circa 2/3, mentre l'industria rappresenta il 23% e il consumo domestico il 13%.

In tutto questo, oggi il 28% della popolazione mondiale (cioè 2,2 miliardi di persone) non ha accesso all'acqua potabile e oltre il 50% (4,2 miliardi di persone) non ha accesso ai servizi igienici.

Mentre un cittadino Usa consuma giornalmente 463 litri di acqua (il 50% per il riscaldamento degli edifici e l'aria condizionata), quasi il doppio di un europeo e il triplo di chiunque altro a livello globale. Un'eccessiva discrepanza che pertanto, ribadiscono da Ambienta, richiede un adeguato livello di istruzione e di tecnologia con cui si potrebbero ottenere significativi incrementi di efficienza. Se gestite male, «le persone colpite dalla scarsità d'acqua a livello globale cresceranno fino a 5 miliardi e anche le aree che oggi sono relativamente intatte, come l'Europa meridionale, dovranno affrontare crisi idriche durature» dicono gli esperti.

L'Italia si trova al centro di questo vortice per cui è necessario individuare criticità e relativi campi di azione. In Italia, sottolinea Utilitalia (la federazione che riunisce le aziende speciali operanti nei servizi pubblici dell'Acqua, dell'Ambiente, dell'Energia Elettrica e del Gas) il consumo pro capite di acqua potabile si attesta a 215 litri per abitante al giorno contro la media europea di 125 litri e i principali consumi dell'acqua riguardano l'irrigazione (51%), seguiti dal settore industriale (21%) e da quello civile (20%). Per questo è fondamentale intervenire. Si pensi al riuso delle acque reflue depurate che in agricoltura è una soluzione per fronteggiare periodi di particolare siccità come quello attuale: si tratta di 9 miliardi di metri cubi l'anno ma in Italia ne viene sfruttato solo il 5% (475 milioni di metri cubi). A dire il vero, per contrastare gli effetti del cambiamento climatico, le aziende italiane del settore idrico sono pronte a mettere in campo quasi 11 miliari di euro di investimenti nei prossimi 5 anni, ma "per garantire nei prossimi anni un approvvigionamento sicuro di acqua potabile, servono azioni sinergiche che coinvolgano anche il mondo agricolo e interventi non più procrastinabili sul fronte della governance" sottolinea Utilitalia. Dei 10,9 miliardi, ben 7,8 miliardi saranno destinati a a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento idrico delle aree urbane e una maggiore resilienza delle infrastrutture, mentre 3,1 miliardi per contrastare il fenomeno delle dispersioni idriche.

Ma in generale, servono investimenti a vari livelli, "serbatoi, nuovi approvvigionamenti, riutilizzo delle acque reflue, riduzione delle dispersioni e interconnessioni tra acquedotti" sottolinea a MF-Milano Finanza il direttore generale di Utilitalia, Giordano Colarullo. "Contemporaneamente alla risoluzione del tema delle perdite idriche, occorre intervenire anche sulla carenza delle infrastrutture che possano consentire e agevolare l'accumulo e il rilascio dell'acqua quando necessario", aggiunge il manager. In sostanza, gli impianti di depurazione producono acqua costantemente ma se l'acqua depurata è rilasciata in un fiume durante mesi di pioggia è una risorsa quasi sprecata, mentre servirebbero dei sistemi di stoccaggio igienizzati che rilascino il bene nel periodo di necessità. "Strettamente collegato a questo è poi il tema delle interconnessioni fra aree (non per forza distanti molte centinaia di km) che hanno livelli di piovosità eterogenea e la cui interconnessione garantirebbe la messa in sicurezza dell'intera area", spiega Colarullo. Così come servono infrastrutture che connettano i flussi d'acqua dai depuratori agli agricoltori. Progetti per cui si rende però necessaria una governance che individui il responsabile della costruzione dell'opera e, magari, porti a un sostegno finanziario. Insomma, conclude Colarullo, "è evidente come non esista una risposta univoca al problema ma serva un piano strategico complessivo che guardi a tutti questi elementi".

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2709:35 feb 2023


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