di Roberto Sommella

MILANO (MF-DJ)--A Milano il megastore Benetton ha chiuso già da un po' a Piazza Duomo. A Busto Arsizio e a Prato si muore sul lavoro dopo la celebrazione del 1° maggio, che solo tale non può più restare. A Firenze, scrive un imprenditore della ristorazione, si spera che il governo modifichi in tempo il tetto di 10 milioni di fatturato nel nuovo decreto Sostegni per evitare una catastrofe nelle aziende che hanno più attività e superano questo limite. A Catania si paga ancora il pizzo come se nulla fosse cambiato in quest'anno che ha cambiato tutto. L'azione del premier Mario Draghi, impegnato nel portare avanti col generale Francesco Paolo Figliuolo la vaccinazione di massa e la messa a terra del Recovery Plan, deve tenere conto di un'Italia sempre più divisa dal virus e dalla pandemia sanitaria ed economica. La sua agenda è chiara, avviare con coraggio le riaperture perché quell'azzardo ragionato serve a rimettere in moto l'economia e rilanciare i consumi che hanno lasciato sul terreno 130 miliardi di euro negli ultimi dodici mesi, mentre gli italiani si rifugiano sempre di più nelle polizze vita e nella sottoscrizione di Btp, unico riparo dalle incertezze. Il metodo dell'ex banchiere centrale, supportato per l'economia da Francesco Giavazzi e per gli aspetti giuridici da Marco D'Alberti, due veri amici più che collaboratori, deve riuscire a fare la sintesi di questi tanti aspetti di un Paese ricco, diviso e pieno di disuguaglianze. La sua mappa di lavoro ha ben chiari i quattro punti cardinali che si ritrovano nella stessa carta costituzionale. L'articolo 1 stabilisce che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e sul lavoro il Paese va ricostruito. Deve essere più sicuro, regolare, digitale e in grado di vincere la sfida che la combinazione dell'intelligenza artificiale con la dematerializzazione di molti processi comporterà in termini di perdita di occupazione. D'altra parte, con lo Stato che sta entrando in molti settori, dalle autostrade alla rete unica, dall'acciaio alla Borsa, l'esecutivo deve anche essere in grado di rispettare il dettato dell'articolo 3 della Costituzione, che stabilisce come la Repubblica debba rimuovere gli ostacoli di ordine economico che «limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona». Scrive infatti Giuseppe Maria Berruti nel suo saggio La Costituzione del Cambiamento: «Chi arriva ultimo nella corsa dell'economia ha la stessa dignità sociale di chi è arrivato primo». Non è facile trovare questo equilibrio nell'Italia di oggi dove, a causa del Covid, alcuni settori hanno retto bene, altri stanno letteralmente scomparendo. E non è facile per Draghi e il suo staff, che si allarga ai ministri Daniele Franco, Roberto Cingolani, Vittorio Colao ed Enrico Giovannini, garantire nella continuità delle tutele suddette la transizione economica, digitale e ambientale. È una rivoluzione nella ricostruzione, una sfida mai capitata al nostro Paese, nemmeno nel dopoguerra. Non c'è infatti solo lo Stato a costruire il futuro di 60 milioni di italiani, ma un intero mondo di imprese private che anch'esse hanno nel terzo cardine dell'agenda Draghi, il loro statuto: l'articolo 41 della Carta suprema. Esso stabilisce appunto come l'iniziativa economica privata sia libera. La libertà è riferita al potere del soggetto privato di intraprendere, di vedere oltre i dati di pil, di fatturato e di svolgere questa attività anche nei momenti difficili: le guerre, la recessione, le epidemie, i lockdown. Legato a questo principio c'è anche quello del mercato libero, della concorrenza, su cui non a caso Draghi ha posto l'accento nel suo primo discorso in Parlamento. Ma questa tutela, che unisce un'impostazione socialista a un sano capitalismo, deve andare di passo con un debito pubblico che rischia di diventare insostenibile, aumentato già di circa 150 miliardi di euro e sostenuto, oltre che dai programmi di acquisto della Bce e dai futuri eurobond della Commissione, da banche, famiglie e imprese che ancora oggi acquistano i bond sovrani con una percentuale record in Europa, quasi il 20% come ha raccontato MF-Milano Finanza. Per affrontare il futuro deve scendere dunque in campo il vero partito di maggioranza in Italia: quello del risparmio. Si è già detto più volte su queste colonne come sia incredibile (e triste) il boom dei depositi bancari, che superano ormai la ricchezza nazionale e devono essere convogliati verso investimenti produttivi. Si usino nuovi strumenti finanziari, rafforzando i Pir e ipotizzando un utilizzo più incisivo del Fondo Patrimonio Destinato gestito dalla Cdp; si creino le condizioni fiscali favorevoli per creare una piazza finanziaria di vantaggio a Milano, sede della nuova super Borsa targata Euronext-Cassa; si alleggerisca il carico contributivo su chi genera e offre lavoro. Non bastasse l'urgenza del momento c'è il quarto e ultimo punto cardinale della mappa d'azione dell'esecutivo che non può mai essere dimenticato, quell'articolo 47 della Carta che stabilisce come il risparmio vada incoraggiato e tutelato. Incoraggiato con le riforme appena descritte, tutelato con le istituzioni preposte a farlo, che devono cominciare a monitorare l'incredibile fenomeno delle criptomonete e della finanza tech a volte totalmente avulsa dalla realtà e dunque molto pericolosa. La ricchezza affidata alle banche, è enorme, come altissima è la propensione al risparmio. Per poter ripartire dopo la fine della pandemia tutto quel risparmio in cerca di alternative e di riparo deve perciò assumere un ruolo diverso, avviare una maggiore inclusione sociale che significa condividere, tutti insieme, speranze, progetti e rinascita. Tenendo unita l'Italia, da Milano a Catania.

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May 07, 2021 02:37 ET (06:37 GMT)