ROMA (MF-DJ)--Sono le casseforti degli imperi finanziari delle grandi famiglie imprenditoriali italiane. Fortezze inespugnabili spesso domiciliate all'estero (Lussemburgo e Olanda in testa) per godere dei vantaggi fiscali e di una governance che ne potenzia i diritti di voto. Lì affluiscono copiosi, scatola dopo scatola, i dividendi dalle società operative. Pioggia di milioni che ogni anno accresce la ricchezza patrimoniale. Ecco come si presentano dopo quasi un anno di guerra. La crisi della pandemia e l'attuale congiuntura, caratterizzata da alti prezzi delle materie prime e quindi da inflazione, possono aver rallentato in alcuni casi il flusso del denaro, ma non in modo tale da indebolirne la forza. Anzi, per chi opera nell'acciaio, come la Tenaris della famiglia Rocca e il gruppo Marcegaglia, il 2022 è stato d'oro grazie alla forza dei materiali di base. Ma anche chi lavora nel lusso, come Prada e Armani, ha sentito poco la crisi. Così come chi ha ribaltato sui prezzi di vendita i maggiori costi.

FERRERO. Parlando di casseforti non si può che partire da quella storicamente più ricca. Una sorta di cornucopia è quella della famiglia Ferrero che ha in Giovanni il suo vertice dopo la morte del fratello Pietro. In cima all'impero del re della Nutella c'è una holding, la Schenkenberg Sa. Ha il 100% di Ferrero International, anch'essa con sede in Lussemburgo, che regge le sorti del mare magnum di società operative sparse per il mondo. La Schenkenberg è al 75% delle holding personali di Giovanni Ferrero e al 25% e dagli altri rami della famiglia di Alba. Nel bilancio chiuso ad agosto 2022 Schenkenberg ha incassato dividendi per 765 milioni e realizzato utili per 686. Un ennesimo anno ricco: basti pensare che la holding ha cumulato tra capitale e riserve un patrimonio di oltre 7 miliardi. Del resto la finanziaria in cima alla catena del gruppo Ferrero non fa che cumulare la creazione di ricchezza che la multinazionale piemontese produce a livello industriale. La Ferrero International ha chiuso l'ultimo bilancio con ricavi a 12,7 miliardi e un utile netto che sfiora il miliardo. Profitti sontuosi e dividendi che salgono lungo la catena anno su anno, con la capogruppo lussemburghese che ora vanta un patrimonio netto di 4 miliardi. La solidità e la profittabilità dell'impero della Nutella garantiscono poi le munizioni per acquisizioni di business nell'alimentare e dintorni.

DEL VECCHIO. Delfin era il fortino finanziario lussemburghese di Leonardo Del Vecchio, scomparso l'estate scorsa. Ora ha il capitale diviso in otto quote uguali (12,5%) tra gli eredi: i sei figli, la moglie Nicoletta Zampillo e il figlio di lei e del finanziere Paolo Basilico, Rocco. Delfin, guidata da Romolo Bardin e Francesco Milleri, uomini di fiducia del capostipite scomparso, è la cabina di regia finanziaria dell'impero di Del Vecchio. Dentro ci sono il 32% di EssilorLuxottica, il 26% di Covivio, il 19,8% di Mediobanca, il 9,8% di Generali e l'1,9% di Unicredit oltre al 13% della Luxair, la compagnia aerea del Granducato. Il gioiello della Corona è ovviamente la multinazionale italo-francese degli occhiali. La quota di Delfin in Essilux vale oggi in borsa 25 miliardi; poi c'è la società immobiliare Covivio, che apporta 1,5 miliardi. Le scalate di Del Vecchio a Mediobanca e Generali valgono ai prezzi attuali altri 4,8 miliardi. Il valore degli asset si avvicina così a 32 miliardi e non si riflette pienamente nei numeri di Delfin, che appaiono del tutto sottovalutati.

Come già riportato di recente da MF-Milano Finanza, il bilancio della holding lussemburghese di fine 2021 pubblica solo la partecipazione nel gruppo dell'occhialeria e vede attivi per 12 miliardi, la metà del valore di mercato della quota in Essilux. C'è quindi una ricchezza patrimoniale enorme ancora da valorizzare. Nel 2021 il flusso di dividendi ha consentito alla holding di aumentare l'utile dell'81% a 377 milioni.

Profitti che probabilmente, come quelli da 208 milioni del 2020, finiranno a riserva portando il patrimonio della holding oltre quota 4,5 miliardi.

CALTAGIRONE. Sul dossier Mediobanca-Generali la Delfin negli scorsi mesi si è mossa con al fianco Francesco Gaetano Caltagirone, che all'attivita di costruttore e immobiliarista ha ormai affiancato il grande attivismo finanziario. Solo la partecipazione in Generali, di cui è arrivato al 9% per poi scendere all'attuale 6,4%, vale ai prezzi di mercato 1,8 miliardi. E ha in sé una plusvalenza latente di oltre 400 milioni. Poi c'è il 5,6% di Mediobanca, che vale oltre 440 milioni, e gli «spiccioli» di Acea in portafoglio a 150 milioni. Un bottino che supera ampiamente i 2 miliardi nel bilancio della holding Fgc che governa le attività del costruttore. Sotto ci sono le quattro operative quotate (Caltagirone, Cementir, Vianini e Caltagirone Editore) e un universo di 130 società partecipate. Il cuore di redditività dell'impero è Cementir, che nel 2021 ha prodotto ricavi per 1,3 miliardi (utili per 113 milioni), tre quarti di queli di tutta Fgc (1,73 miliardi). Nei primi 9 mesi del 2022 Cementir ha realizzato un giro d'affari in forte crescita a 1,25 miliardi. Oltre alle quotate e al portafoglio finanziario c'è poi il patrimonio immobiliare, da cui è nata l'avventura imprenditoriale della famiglia e che è a bilancio per 1,7 miliardi. La solidità finanziaria è data dai 4,2 miliardi di patrimonio netto della holding che aveva liquidità per oltre mezzo miliardo a fine 2021. Forte patrimonialmente e storicamente liquido, colui che a Roma è considerato l'ottavo re ha visto però salire l'indebitamento, con la posizione finanziaria netta cresciuta da 1,3 ai 2 miliardi del 2021. Nessun allarme, vista la consistenza patrimoniale, ma un segnale di attenzione sul debito per la holding di famiglia.

Che Caltagirone e gli eredi Del Vecchio riescano a espugnare il sistema Mediobanca-Generali, fortino della finanza italiana, è dubbio. In ogni caso la loro è una strategia «win-win».

Hanno puntato liquidità in eccesso su due titoli blasonati, da cui ricevono dividendi e da possono estrarre nel lungo termine laute plusvalenze.

ROCCA. Il 2022 è stato l'anno d'oro per la famiglia Rocca, alla guida di un impero industriale che parte dalla quotata Tenaris e risale lungo una fitta catena societaria tutta lussemburghese passando per la scatola San Faustin per finire alla fondazione di diritto olandese Rocca & Partners. Il rialzo dei corsi dell'acciaio per Tenaris, colosso mondiale nei tubi per l'industria del petrolio, ha fruttato nei primi 9 mesi 8,1 miliardi di dollari di utili, quasi il doppio rispetto a 12 mesi prima.

Con un utile esploso a 1,74 miliardi. Non a caso Tenaris è stato uno dei migliori titoli a Piazza Affari l'anno scorso con un rialzo del 68% e una capitalizzazione che supera i 19 miliardi. Molto fieno in cascina quindi per le holding di famiglia, già solide e ricche. Basti pensare che la San Faustin nel 2021 ha fatto utili per 5,5 miliardi, con 40 miliardi di attivo e 28 di patrimonio. Numeri da record destinati a migliorare ulteriormente, dato l'andamento più che brillante di Tenaris a fine 2022. La quotata ha distribuito oltre 300 milioni di dividendi solo nel 2021, ha oggi cassa per oltre 600 milioni, un capitale netto di 13 miliardi e di fatto non ha debiti. Una cash cow per l'intero gruppo. Il tutto senza contare le attività collaterali dei Rocca: da ingegneria e costruzioni con Techint e Tenova al petrolio con Tecpetrol fino alla sanità privata con l'Humanitas di Milano.

MARCEGAGLIA. Fa il paio, anche se con valori decisamente inferiori ai Rocca, la famiglia Marcegaglia. Il 2021 si era già chiuso per il gruppo siderurgico guidato dall'ex presidente di Confindustria Emma e dal fratello Antonio con il miglior risultato di ricavi della sua storia. E il trend dovrebbe essersi consolidato l'anno scorso. L'ultimo bilancio della cassaforte Marcegaglia Holding ha visto ricavi per 8,1 miliardi dai 4,8 del 2020, con un utile netto di oltre 330 milioni. Ma a differenza dei Rocca con Tenaris, su Marcegaglia il debito pesa. O almeno pesava. La holding di famiglia aveva debiti finanziari per un miliardo. La generazione di cassa però è salita molto già nel 2021 e le disponibilità liquide sono arrivate a 840 milioni dal mezzo miliardo dell'esercizio precedente mitigando molto la posizione finanziaria netta, che era di 170 milioni. Il 2022 avrà migliorato ulteriormente la struttura finanziaria della holding, che ha cumulato nel tempo un capitale netto di poco più di 1,5 miliardi.

PRADA. Le società del lusso hanno patito le chiusure dei lockdown ma hanno tale forza patrimoniale e redditività da aver da subito recuperato il black out del Covid. È il caso anche di Prada. Il gruppo quotato a Hong Kong è posseduto all'80% via Prada Holding dai due fondatori, Miuccia Prada e suo marito Patrizio Bertelli. Da Prada Holding poi si sale alle casseforti personali. Due per Miuccia: la Bellatrix, che possiede il 65% della holding, e la Ludo che a sua volta controlla il 53% di Bellatrix. La Ludo ha cumulato negli anni un patrimonio netto di oltre mezzo miliardo (536 milioni a fine 2021). Più snella la catena di Bertelli, che possiede al 100% la Pa.Be 1, la quale ha il 35% del capitale di Prada Holding che a cascata possiede l'80% della spa. La sua holding personale ha incassato utili per 25 milioni nel 2021 portando il patrimonio a 726 milioni. Pioggia di denaro ai piani alti, figlia del buon andamento della società operativa. Nel 2021 il gruppo ha staccato cedole per 179 milioni dopo i 90 del 2020. Del resto il 2020 causa Covid si era chiuso per Prada con un rosso di 50 milioni.

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February 13, 2023 03:33 ET (08:33 GMT)