MILANO (MF-DJ)--Dalla necessità per la moda di cambiare alcune delle sue regole al valore, ancora insostituibile, delle sfilate. Giorgio Armani ha raccontato in questa intervista a margine dello show couture il suo approccio a un sistema in profonda evoluzione.

Dopo le sue dichiarazioni dei mesi scorsi, trova che ci sia stata una risposta da parte del mondo della moda di cambiare un po' la rotta?

Quello che ho visto è troppo poco per dare un giudizio. Ho visto l'uomo, perché l'uomo fa parte della moda. Salvo due nomi, il resto ha fatto delle mattane enormi che non servono a nessuno.

Lo scorso settembre c'è stata anche la donna, dove certi meccanismi sono ricominciati.

Sembra che la gente abbia come valvola di sicurezza l'eccentricità spinta, il non fatto e fatto per primi, fregandosene che quello che loro fanno vedere in qualche modo deve avere un seguito. E secondo me se tagliamo un po', sì. Se la lasciamo come ce la presentano, no. Non voglio mettermi dalla parte di quello che predica. Io faccio il mio lavoro. E se voi mi chiederete ancora fra un anno cosa ne penso, ammesso che io sia ancora qua, direi le stesse cose.

Lei ha lanciato un messaggio forte e tutti hanno iniziato a dire: «Sì, ha ragione».

Perché il messaggio forte ha dato forse fastidio a qualcuno che magari avrebbe voluto arrivarci prima. Però hanno continuato a fare le cose come le facevano.

Hanno detto che bisognava rallentare, produrre meno merce, rispettare le stagioni.

Ma proprio anche la scelta dei mood, la scelta dell'abito per quello che è. Cioè, bisogna rinnovare il perché tutti abbiamo voglia del nuovo. Nell'uomo, vedrete, ho fatto dei vestiti con dei dettagli che lo rendano nuovo, però, lui può andarci in giro. E per la donna lo stesso.

E questa deregulation per cui uno si sveglia la mattina e dice: «Presento la collezione via Zoom domani mattina alle 7 e mezza» e tutta l'industry si deve attivare?

Mi dia una risposta lei a questo, io non la do.

Secondo lei sarà bene tornare a una regola, ad avere delle scansioni?

Le regole servono per vivere bene, non per essere soffocati dalle stesse. Le regole servono per organizzare anche la nostra mentalità, il nostro lavoro. E vale soprattutto per gente come me, che ha alle dipendenze 8 mila persone. Bisogna pur dire loro qualcosa, che si va in una certa direzione e non in altre direzioni.

Secondo lei la formula della sfilata è ancora l'unica possibile?

Sì.

Sfilate e quindi anche fashion week, Milano, New York, Londra e Parigi?

Varrebbe la pena decidere se si possono cambiare le tempistiche, però il sistema di fare vedere le collezioni rimane quello della sfilata. Bisogna dire che chi fa un video interessante dal punto di vista estetico può essere apprezzato, ma parliamo di video come un piccolo film, un video che della moda se ne frega un po'. Questa è la verità, nei video che facciamo che hanno un po' di sapore, la moda è tenuta sempre un po' in disparte. Ci domandiamo: «C'era la moda?». Ah, sì, c'era.

C'era il vestito, più che la moda.

Già.

E cosa ne pensa di questa nuova ondata di serie televisive in cui si parla tanto di vestiti? In The undoing si parla dei cappotti che ha Nicole Kidman, in Bridgerton del ritorno dello stile impero e così via. Lei che è stato sempre un cultore di cinema, pensa che vestire le serie televisive sia interessante?

Dipende dall'argomento e dell'epoca a cui si riferiscono. Direi che se è un film, un video, una serie in costume, ben venga. Io ho visto delle cose meravigliose fatte dai costumisti di certe serie, meravigliose.

Le hanno mai chiesto di vestire qualche serie?

No, le serie no. Magari qualche vestito c'è scappato, le mie pr in America sono capaci di mettere vestiti dappertutto.

red/lde

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