MILANO (MF-DJ)--Le attese di Cnmi-Camera nazionale della moda italiana per il 2021 sono migliori del previsto: ci si aspetta un incremento dei fatturati del comparto e soprattutto di consolidare la posizione del Made in Italy sul mercato inglese. Ci sono però molte variabili esogene, dal successo dei vaccini alle scelte in materia di politiche per la ripresa e di sostegno alle aziende, che non consentono di avere un quadro ben definito. Un report stilato da Cnmi propone quindi due scenari che rappresentano i limiti superiore e inferiore dell'evoluzione del fashion.

Lo scenario favorevole,scrive MFF, presuppone il progressivo esaurimento della pandemia nel corso del 2021 e il successo piano delle politiche di rilancio economico. In quello sfavorevole, invece, le restrizioni per il contenimento del virus si prolungano fino al 2022 con danni alle economie più sostenute e un impatto parziale delle misure politiche-economiche. Nel primo caso, il fatturato dell'industria italiana della moda potrà registrare un aumento a due cifre (+15,5%) a quota 75,56 miliardi di euro. Export e import, rispettivamente, a +15% e +8,7%.

Nel secondo, la crescita si limiterà al 6% per un totale di 69,34 miliardi. Le esportazioni saliranno dell'11% mentre le importazioni del 5,7%. I dati fanno riferimento non solo all'abbigliamento e al tessile, ma a tutti i settori collegati come pelletteria, calzature, gioielleria, occhialeria e cosmesi. Guardando al fiscal year appena terminato, la moda è senz'altro tra i comparti industriali più colpiti dalla crisi legata al Covid. L'uso massiccio di cassa integrazione e delle altre misure predisposte dal governo ha consentito, per ora, di evitare una gravissima crisi occupazionale.

Nei primi tre trimestri dell'anno, i ricavi del settore sono scesi del 23%, con un crollo del 45% nel secondo quarter, periodo quasi interamente coperto dal primo lockdown. L'effetto del progressivo allentamento delle restrizioni sia d'estate che a ottobre ha permesso di contenere il calo, che in ogni caso è rimasto consistente: -26,9% nel terzo trimestre e -14,8% a ottobre, ultimo dato ufficiale disponibile. L'impatto è stato grave: per una fetta molto ampia di imprese solo il ricorso alle misure di supporto pubblico ha potuto evitare conseguenze ancora più stringenti sull'occupazione e la sopravvivenza stessa.

A inizio novembre, i 2/3 (ossia il 66%) delle imprese manifatturiere ha fatto uso della cassa integrazione o del Fondo di integrazione salariale. Il fashion, evidenza l'analisi di Cnmi, è stato il settore industriale che ha usato di più i due strumenti di ammortizzazionei. I prestiti a garanzia pubblica sono stati chiesti dalla metà delle realtà fashion. Infine, secondo una rilevazione dell'Istat, il 68% delle aziende a novembre 2020 riteneva che il supporto pubblico fosse necessario per non chiudere l'attività. Ad agosto e settembre i nuovi ordini sono tornati ad aumentare, ma ad ottobre, ancora prima della decisione circa le nuove misure restrittive, l'andamento è tornato a essere negativo.

Tirando le somme, il report di Cnmi stima per il 2020 una flessione del 27,5% a 65,42 miliardi di euro (dati preconsutivi, ndr). Anche l'export è sprofondato del 25% a 53,66 miliardi anche se il terzo trimestre ha performato meglio delle aspettative. L'Organizzazione mondiale del commercio prevede nel 2020 una contrazione del volume degli scambi di merci a livello globale del 13%. Quando le restrizioni hanno toccato il picco nella maggior parte dei Paesi, il decremento ha raggiunto il -20% rispetto allo stesso periodo del 2019. L'import è invece sceso dell'11,8%, con un forte aumento dei flussi commerciali dalla Cina (+34,9%) che hanno compensato il resto delle nazioni. Le importazioni dalla Francia sono diminuite del 6,2%%, dalla Germania dell'11,2%, dalla Spagna del 22,8% e dalla Romania del 16,1%. I settori collegati all'abbigliamento (gioielli, occhialeria e cosmetica) hanno subito una contrazione più profonda sia delle esportazioni (-29,9%) che delle importazioni (-34,8%).

La bilancia commerciale della moda (compresi anche i settori collegati) è peggiorata di 9,1 miliardi di euro. Osservando lo scenario macroeconomico, un segnale positivo arrivato prima di Natale è il deal raggiunto il 24 dicembre sulla Brexit. In pratica un accordo di libero scambio che permette alle merci europee, e quindi anche ai prodotti italiani, di entrare nel mercato inglese senza alcun dazio o vincolo quantitativo e viceversa. L'Ocse-Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha aggiornato le sue previsioni a dicembre: il 2020 è destinato a registrare un calo del Pil mondiale del 4,2%, con l'area euro a -7,5%, il Regno Unito a -11,2% e gli Usa a -3,7%. La Cina è l'unico paese in crescita, seppur moderata (+1,8%). Per il 2021 è previsto un incremento generalizzato del Pil: +4,2% quello mondiale, +3,6% per l'area euro, che quindi resta abbondantemente sotto i livelli 2019, +4,2% il Regno Unito, +3,2 gli Usa +8% la Cina. Il realizzarsi delle attese per il 2021 sarà condizionato da fattori esterni, primo fra tutti l'esito della campagna vaccinale.

red/lde

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1508:25 gen 2021

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January 15, 2021 02:26 ET (07:26 GMT)