MILANO (MF-DJ)--Sulla scorta di quanto fatto dalla Bce, che ha invitato le principali banche europee a condurre il primo esercizio di Climate Stress Test per valutare la resilienza delle aziende e delle banche stesse ai rischi climatici, Cerved ha condotto un analogo esercizio di Climate Stress Test sulla popolazione di Pmi italiane, integrando gli input forniti dalla Bce con score, modelli e algoritmi di simulazione e proiettando al 2050 i bilanci individuali delle imprese, di cui sono state stimate variabili chiave come emissioni, consumi energetici, esposizione al rischio fisico.

Tre gli scenari a confronto: la transizione "ordinata" (orderly), che procede in modo regolare verso il raggiungimento degli obiettivi di Parigi, concentrando i maggiori investimenti nel decennio 2020-2030; quella "disordinata" (disorderly), in cui gli interventi vengono attuati solo nel biennio 2030-2040, con costi più elevati nel medio termine; infine lo scenario "serra" (hot house), in cui si interviene in maniera insufficiente, con un conseguente aumento della frequenza e della severità degli eventi fisici.

Più nel dettaglio, partendo dalle emissioni, nello scenario ordinato calerebbero rapidamente già nel primo decennio e l'introduzione di una Carbon Tax renderebbe conveniente la realizzazione di forti investimenti per ridurre l'impatto ambientale dei processi produttivi, mentre in quello disordinato le emissioni diminuirebbero solo dal 2040. Anche nella composizione dell'energy mix (le Pmi, secondo le stime di Cerved, nel 2020 hanno speso circa 8 miliardi di euro in energia) si verificherebbe una dinamica simile: nel 2030 le fonti non rinnovabili (carbone, gas e petrolio) rappresenterebbero il 61,7% del mix energetico nello scenario ordinato, contro il 75,2% degli altri due, poi però il divario tra transizione ordinata e disordinata diminuirebbe e l'introduzione massiva di energia da fonti rinnovabili ne ridurrebbe significativamente l'incidenza sul fatturato. Al contrario, nello scenario "serra" la quota delle non rinnovabili rimarrebbe al 65% anche nel 2050.

È la componente del rischio fisico, però, a fare la differenza, perché determina maggiormente la probabilità di default (Pd) delle Pmi italiane, che anche per la conformazione naturale della nostra Penisola si collocano per oltre l'8% nella fascia di rischio fisico alto o molto alto e per il 30% nella fascia di rischio medio. Emerge infatti come gli investimenti portino nel lungo periodo a una riduzione della probabilità di default mediana nei due scenari con transizione, che è invece in crescita dal 2030 nello scenario "serra", quando l'impatto dei rischi fisici si fa più evidente: +25% di rischiosità rispetto a oggi e +44% rispetto allo scenario ordinato.

Ma non solo: sono stati considerati, da un lato, la necessità di maggiori investimenti per la ricostruzione di impianti, capannoni, magazzini colpiti da frane o da alluvioni, strettamente legate all'innalzamento della temperatura, dall'altro la crescita dei premi assicurativi richiesti dalle compagnie per coprire, almeno in parte, i danni. Negli scenari ordinato e disordinato, la frequenza degli eventi negativi aumenta solo marginalmente e il costo degli investimenti per la ricostruzione raggiunge al massimo lo 0,1% dell'attivo per le PMI ad alto rischio nel 2050, e anche il premio assicurativo incide per l'1,1% del fatturato. Nello scenario "serra", invece, per le imprese ad alto rischio fisico si prospetta al 2050 una quota di investimenti annui per la ricostruzione pari all'1,6% dell'attivo e un aumento dei premi assicurativi fino al 3% del fatturato.

In conclusione servono 135 miliardi di investimenti per la transizione ecologica e le aziende italiane, secondo Cerved, sono abbastanza solide da sostenerli.

cce

MF-DJ NEWS

2210:27 nov 2022


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November 22, 2022 04:27 ET (09:27 GMT)