MILANO (MF-DJ)--Domanda. A sei anni dalla riforma delle Popolari che bilancio se ne può fare?

Risposta. Il bilancio è a luci e ombre. Non è positivo per la parte in cui la riforma ha asciugato un settore che ha dato un contributo importantissimo alla crescita del Paese, assicurando l'accesso al credito a famiglie di operai e impiegati, alla piccola impresa commerciale e agricola. Il legislatore ha ingiustamente sacrificato la funzione sociale della cooperazione - pur riconosciuta a livello costituzionale - di fronte a superiori ragioni di vigilanza macro-prudenziale che consideravano l'efficienza della gestione cooperativa inferiore a quella azionaria. Tuttavia, le recenti crisi del Mps e di Carige e le dimenticate crisi di Carife, Banca Marche e Carichieti, che insieme alle due banche appena citate certamente non appartengono al mondo della cooperazione, evidenziano l'erroneità di tale assunto. La riforma è, invece, positiva nella parte in cui ha esteso alcuni istituti previsti dal codice civile alle banche popolari rimaste, consentendo loro, ad esempio, di poter fare ricorso a soci finanziatori e ad altri sottoscrittori di titoli di debito, anche se per la concreta attuazione di tale possibilità si è dovuto attendere il decreto sostegni bis.

D. Si potevano immaginare percorsi differenti?

R. Se il problema era l'autoreferenzialità e la qualità della governance, si poteva intervenire su tale aspetto, cosa che poi, come detto, si è avverata; oppure, se il problema era l'accesso al mercato di capitali, si poteva agevolare una ristrutturazione del sistema che consentisse di remunerare adeguatamente il rischio o, quantomeno, si potevano anticipare gli interventi operati con il decreto Sostegni bis che consentono alle banche popolari di emettere, senza snaturare la loro natura cooperativa, strumenti finanziari dotati di particolari diritti amministrativi.

D. Che futuro vede per le banche rimaste popolari in Italia?

R. La cooperazione è una forma di aggregazione naturale della persona umana (solidarietà, sussidiarietà, ecc.) che si integra con la semplice constatazione che l'unione fa la forza. Non a caso lo svolgimento di attività in forma cooperativa pervade l'intero sistema economico. Non credo, quindi, che l'esigenza di persone e territori di mantenere o dar vita a banche popolari verrà meno. Altra questione è se queste ultime sapranno a loro volta unirsi per raggiungere economie di scala: la Luzzatti, una società consortile a cui partecipano moltissime banche popolari, lascia ben sperare. Per altro verso mi permetto di sottolineare che il limite di 8 miliardi di euro di attivo oltre il quale il legislatore fa scattare l'obbligo delle banche popolari di trasformarsi in spa, può costituire un irragionevole ostacolo alla concorrenza, disincentivandone la crescita, lo sviluppo e la stessa capacità di resilienza.

D. Oggi che valore aggiunto offre il credito popolare per la clientela rispetto all'offerta delle grandi banche?

R. Le Popolari hanno nel proprio dna l'essere banca del e per il territorio. Rispetto alle grandi realtà sono capaci di interagire meglio con la piccola e media impresa locale, sostenendone e accompagnandone con professionalità lo sviluppo. Questo non vuol dire però non sentire l'obbligo (direi l'impellenza) di cogliere le possibilità aperte dalla digitalizzazione che può consentire di arricchire il conto economico con nuovi ricavi, generati anche al di fuori dal territorio di insediamento storico.

D. Pensa che in alcuni casi specifici sia possibile introdurre nelle ex popolari forme di governance che bilancino lo spirito cooperativo e le richieste del regolatore e legislatore?

R. Il diritto societario riconosce alle società per azioni un'ampia autonomia statutaria per consentire il soddisfacimento dei più diversi e ampi interessi; ritengo tuttavia difficile pensare a clausole statutarie che assicurino la compresenza di uno spirito cooperativo, per il rischio che tali pattuizioni possano essere in contrasto con le caratteristiche tipologiche delle società di forma azionaria. Altra cosa è invece ritenere che non contrasti con la riforma il fatto che figurino, tra i principali azionisti di una popolare trasformata, una o più holding cooperative, le quali potrebbero legittimamente farsi portatrici delle sensibilità del proprio mondo. D'altronde questa è la soluzione percorsa dalla riforma delle bcc e che appartiene a storie di successo come quella del Crédit Agricole.

fch

(END) Dow Jones Newswires

January 07, 2022 02:49 ET (07:49 GMT)