Si potrebbe quasi pensarlo, considerando quanto la sua critica al modello di Salesforce — e più in generale al settore tecnologico americano — pubblicata lo scorso giugno nella pungente rubrica "Unhedged" riprenda quasi punto per punto gli elementi contro cui siamo soliti insorgere.

In primo luogo, e per ribadirlo, ci sono gli pseudo flussi di cassa liberi — o "free cash-flows" — che non sono affatto liberi, poiché escludono dal calcolo la remunerazione in stock option — una spesa detta "non-cash" — che è davvero folle. Ne sono un esempio Snapchat e Palantir, entrambe trattate nelle nostre colonne.

In secondo luogo, il FT e Unhedged hanno ragione a puntare il dito contro strategie di crescita esterna talvolta dubbie, costellate da acquisizioni grossolanamente strapagate la cui reale redditività è difficile da stimare. Si vedano, ad esempio, i casi di Enghouse Systems e IBM, anch’essi discussi nelle nostre colonne.

Infine, l'articolo di giugno mette in evidenza un punto che i nostri analisti sottolineano continuamente e che è uno dei principi guida nella gestione dei portafogli azionari di MarketScreener: se ha senso investire in buone società quotate in Borsa, in rapida crescita e in grado di autofinanziarsi, ciò deve ovviamente avvenire a multipli di valutazione attraenti.

Nel caso opposto, il rischio di una correzione è elevato non appena il tasso di crescita dell'azienda vacilla, rallenta o delude. Ne sono un esempio Dell, Paradox Interactive e Rémy Cointreau.

In quest'ottica, e tornando a parlare di Salesforce, va notato che la performance borsistica del titolo negli ultimi sette anni è identica a quella di Oracle, benché la prima abbia registrato un tasso di crescita nel periodo cinque volte superiore a quello della seconda.

La novità, ovviamente, è che nel periodo in questione le azioni Salesforce sono state scambiate a multipli di valutazione da quattro a sei volte superiori a quelli di Oracle.