ROMA (MF-DJ)--Le fondazioni e le casse di previdenza sono stati gli attori principali di quell'operazione di sistema che nell'autunno scorso ha messo in sicurezza il Montepaschi. Grazie a un investimento da quasi 150 milioni questi soggetti hanno consentito alla banca di chiudere l'aumento di capitale da 2,5 miliardi con un livello contenuto di inoptato.

Dopo l'uscita di Axa, scrive MF-Milano Finanza, fondazioni e casse sono diventati i principali soci privati di Siena con una partecipazione superiore al 4%. La compagnia francese, partner storico di Siena nella bancassurance, ha infatti messo sul mercato quasi tutto il suo 7,9% al prezzo di 2,33 euro per azione, ovvero con uno sconto del 15,1% che ha fruttato una plusvalenza di quasi 39 milioni. In una nota Axa ha motivato la scelta con il desiderio «di non essere rappresentata nel cda in occasione della prossima assemblea di Mps e di non influenzare la più ampia strategia a lungo termine della banca». Dopo l'uscita del secondo socio, secondo quanto appreso da MF-Milano Finanza, negli ultimi giorni fondazioni e casse avrebbero avviato discussioni sulla presentazione di una lista all'assemblea del 20 aprile. In quella sede il Tesoro (primo azionista al 64%) e i soci privati nomineranno il nuovo cda e i cambiamenti al vertice della banca dovrebbero essere consistenti.

Per il momento nessuna decisione è stata ancora presa ma le ipotesi sul tavolo sarebbero tre: una lista per le sole fondazioni (Cariplo, Compagnia San Paolo, Crt, CariCuneo, Mps, CariFirenze, Lucca e Pistoia e Pescia); una lista congiunta per fondazioni e casse di previdenza (si aggiungerebbero quindi Enpam e Inarcassa); il sostegno a una formazione presentata dalla sola Fondazione Montepaschi, la cui partecipazione è salita allo 0,40% in occasione dell'ultimo aumento. Le prime due opzioni richiederebbero la presentazione di un accordo di consultazione simile a quello che Cariplo, Compagnia e gli altri enti hanno promosso sia nel 2019 che lo scorso anno per il rinnovo del vertice di Intesa Sanpaolo. Nella terza ipotesi invece non sarebbe necessaria alcuna forma di sindacato. Se queste sono le ipotesi sul tavolo, c'è ancora un nodo da sciogliere. I nuovi soci vogliono capire se entro la scadenza del 26 marzo saranno presentate altre liste di minoranze e, in particolare, se ci sarà quella dei fondi. Nell'ultimo rinnovo il comitato dei gestori aveva candidato Marco Giorgino, Alessandra Barzaghi e Paola De Martini e, se la mossa venisse confermata, le fondazioni potrebbero fare un passo indietro. Qualcuno ricorda però che lo statuto di Mps assegna le tre poltrone riservate alle minoranze con il metodo dei quozienti. Questo meccanismo, rimasto ormai in poche società quotate, consente maggiore pluralismo in termini di rappresentanza e non penalizza le liste che hanno ottenuto poche preferenze. Anche con Assogestioni in campo quindi fondazioni e casse avrebbero buone chance di ottenere almeno un posto in cda.

Mentre le riflessioni sono in corso, anche il Tesoro è al lavoro sui candidati per il Monte. La presidente Patrizia Grieco ha già annunciato che non si ricandiderà. La manager milanese, vicina al Partito Democratico, era arrivata al vertice nel 2020 e da qualche giorno è stata scelta per guidare il cda di Anima Holding, dove è stata candidata dal primo azionista Banco Bpm. Si libera una poltrona importante a disposizione del governo, che tra i possibili candidati potrebbe scegliere l'avvocato Nicola Maione, veterano del board senese in cui è entrato nel 2017, considerato vicino alla Lega. La sostituzione di Lovaglio viene invece ritenuta poco probabile sia per la credibilità che il ceo si è guadagnato tra gli investitori sia per i rapporti costruttivi stabiliti con la Bce. Se però si decidesse di cambiare, la scelta potrebbe cadere su uno dei banchieri italiani oggi apprezzati a Palazzo Chigi, come l'ex Bper Alessandro Vandelli, il ceo di Finint Fabio Innocenzi e l'attuale amministratore delegato di Bper Piero Montani. Di sicuro nel resto del cda i cambiamenti saranno profondi per i 12 posti spettanti al Mef.

Concluso il rinnovo, il Tesoro dovrà decidere la tempistica della privatizzazione. Qualche indicazione è già arrivata da Palazzo Chigi. Nella conferenza di fine anno la premier Giorgia Meloni ha detto che il governo sta lavorando per creare più poli bancari in Italia e la privatizzazione di Mps contribuirà alla realizzazione di tale scenario. «Lavoriamo per assicurare un'uscita ordinata dello Stato e per creare le condizioni per cui in Italia ci siano più poli bancari», ha spiegato. Negli ultimi giorni poi ha ripreso quota l'ipotesi di un'aggregazione con Banco Bpm, che tuttavia oggi appare prematura soprattutto per ragioni di governance. Oltre a quello di Mps, anche il cda del Banco è in scadenza e sarà rinnovato dall'assemblea di aprile. Fino a quel momento è improbabile che le discussioni entrino nel vivo, senza contare che il Tesoro non ha ancora individuato gli advisor per la partita. Le insistenti indiscrezioni sembrano però confermare che l'ipotesi non è remota.

Non solo perché sulla carta l'aggregazione potrebbe funzionare in termini di reti commerciali e sinergie, ma anche perché darebbe vita a quel terzo polo bancario che l'Italia aspetta da dieci anni. Un progetto che non dispiace a grandi gruppi finanziari come Intesa Sanpaolo e soprattutto al governo. L'accelerazione sull'uscita del Tesoro comunque non è scontata, anche perché in ambienti governativi sta riprendendo quota l'ipotesi di costruire intorno a Siena un polo bancario a controllo pubblico comprendente anche la Banca del Mezzogiorno.

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0609:06 mar 2023


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